RISIKO ITALIA. UN VIAGGIO NEL FUTURO PROSSIMO

di Gaetano Sebastiani

Ora che il governo fotocopia ha ottenuto la fiducia ridimensionata delle camere e la volontà popolare è stata nuovamente accantonata in un ripostiglio, è tempo di ragionare sui possibili scenari futuri delle forze politiche in campo. Il risultato del referendum ed il conseguente avvento dell’esecutivo degli incoerenti, infatti, impone ai principali protagonisti del teatrino italico di elaborare nuove strategie e chissà, stravolgere gli assetti fino ad ora conosciuti affinchè…nulla cambi! Sebbene non si possieda una sfera di cristallo, possiamo comunque concederci un divertissement, una sorta di gioco delle previsioni.
L’area politica che più potrebbe subire sconvolgimenti dopo gli accadimenti del 4 dicembre è la sinistra. La minoranza PD ha salutato il trionfo del No come il più potente deterrente al renzismo. I padroni della “ditta”, i vari Bersani, D’Alema, Speranza e compagnia (non molto) rottamata sperano di riprendere il controllo del partito, magari facendo un pò di maquillage e proponendo come volto “nuovo” della sinistra moderata il governatore della Toscana, Enrico Rossi. Il quale non perde occasione, da quando Renzi si è dimesso, per sottolineare la distanza dal suo segretario e ribadire la necessità di tornare a radici più popolari e sociali. Ma, ormai, il verbo del rignanese è ben radicato nel partito. Già dopo l’esito delle urne si è assistito a scene da notte dei lunghi coltelli tra sostenitori della minoranza e renzisti. Come questo strappo possa ricucirsi è davvero difficile dirlo e forse, neanche l’imminente congresso potrà sanare le ferite. In più, l’arroganza di Renzi non ha conosciuto posa neanche a seguito della vittoria del No. Il discorso post referendario è stato l’ennesimo spot pubblicitario del suo esecutivo e dimentico – ovviamente! – delle promesse di lasciare finanche l’agone politico in caso di sconfitta, il pinocchio fiorentino ha dichiarato di voler dare un seguito concreto a quel 40% di consensi, ricominciando “da capo” (notare il fine gioco di parole).
Se queste sono le premesse non è azzardato ipotizzare che il congresso del PD più che un chiarimento, divenga uno spietato redde rationem – come solo da quelle parti si può vedere – e che, come ventilato anche da Massimo Cacciari, avvenga una scissione dalla quale nascano due nuove entità: una sinistra dem che guarda ai vari Fassina, D’Attorre, Pisapia et similia da un lato, ed una formazione di stretta osservanza renziana dall’altra. La prima creerebbe un partito ancorato alle battaglie tradizionalmente “rosse”: il lavoro, i diritti sociali e civili, l’integrazione, l’uguaglianza, etc… Insomma il solito repertorio per ringalluzzire gli animi dei nostalgici della sinistra “vera”. Naturalmente, come già anticipato più volte dall’ex sindaco di Milano, questa formazione dovrebbe dialogare con l’eventuale costola di “centro” nascente dalla scissione (quanto di “rosso” rimarrebbe da questa relazione, è una bella gatta da pelare…). E qui, entra in scena la seconda formazione di cui sopra. Quest’ultima diverrebbe il tanto agognato “partito della nazione”, capace di raccogliere tutti gli elementi che dalla Leopolda ad oggi sono rimasti folgorati sulla via dell’ex premier. I numeri elettorali per portare a termine questa operazione ci sono tutti. Una buona fetta dei sostenitori del Si possono essere sicuramente considerati allo stesso tempo sostenitori di Renzi inteso come leader politico, a prescindere dalla sua permanenza o meno nel PD.
L’eventuale partito della nazione otterrebbe, inoltre, il sostegno di tutta l’area moderata dem (o di quelli che semplicemente sognano ancora di rottamare la vecchia guardia), dei verdiniani, dei centristi come Casini o Alfano che ormai di “destra” ha solo il termine sul logo del partito, ma anche di quella indecifrata fetta di Forza Italia che sia in parlamento, sia nel Paese, vede più o meno segretamente in Renzi la versione turbo e giovanile del Berlusconi che fu. Ma affinchè questo avvenga, è necessaria una condizione fondamentale: e cioè che l’ex Cavaliere non ottenga l’agibilità politica da Strasburgo.
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, potrebbe avere un impatto forse più pesante dell’esito referendario, origine di tutto il nostro gioco. Perchè, se il verdetto dovesse confermare l’esclusione del Silvio nazionale dalla partita, l’ipotesi di un partito renziano che fagocita una fetta dell’elettorato forzista orfano del suo leader più amato diventa molto probabile. Se immaginiamo Berlusconi come baluardo nominale tra centro destra e Renzi, rimosso quel baluardo il rignanese non avrebbe più ostacoli dinanzi a sè per sfondare verso destra (come era nei suoi progetti durante la campagna referendaria e come poi si è verificato per una parte dei votanti di Forza Italia).
Inoltre, la rimozione dell’ex Cav dalla scena metterebbe in moto uno sconvolgimento politico anche sul versante destro dello schieramento partitico. E probabilmente porrebbe fine all’anomalia tutta italiana di non avere, a dispetto di quasi tutti i principali Paesi europei, una formazione schiettamente sovranista sulla scia dei vari Front National, FPO, AFD, etc… Rimanendo unica personalità di rilievo di quest’area, Salvini non avrebbe più la necessità di sfidare Berlusconi sul terreno della leadership imbastendo inutili primarie. Soprattutto, non dovrebbe più edulcorare le proprie posizioni più interessanti (uscita dall’euro, messa in discussione della permanenza dell’Italia in Europa, immigrazione, legge Fornero, etc…) per tirare dalla propria parte i moderati. Senza Berlusconi, Forza Italia si scioglierebbe come neve al sole ed agli elettori (così come ai parlamentari) non rimarrebbe che scegliere tra Renzi, o rimanere fedeli all’area accettando uno scostamento a destra del programma politico.
Libero dal “centrismo”, il sovranismo di destra in Italia potrebbe avere finalmente una propria rappresentanza partitica coerente. Salvini dovrebbe “solo” dare al Carroccio un respiro più sinceramente nazionale (l’opzione della Lega dei popoli potrebbe costituire un buon viatico), integrare Fratelli d’Italia – magari spiegando alla Meloni che la fedeltà alla Nato è roba fuori dalla Storia – e partire lancia in resta alla conquista dei tanti indecisi/astenuti cronici che di votare l’establishment non ne vogliono più sapere.
Il nostro gioco delle ipotesi non potrebbe terminare senza considerare il M5S. Il quadro da noi disegnato, infatti, prevede la presenza di quattro schieramenti elettoralmente rilevanti: una generica sinistra di stampo sociale, un partito renzista in costante dialogo con quella formazione, una lista di destra con connotazioni sovraniste ed infine i pentastellati. I quali escono dallo scontro referendario ulteriormente rafforzati e destinati ad essere sempre più suffragati quanto più il governo Gentiloni rimane in carica. Il M5S è l’unica forza che dagli eventi del 4 dicembre trarrà ulteriore stabilità e compattezza, a differenza di tutte le altre. Ma questa immunità avrà valenza temporale limitata, poichè se da un lato costituisce un grande vantaggio in vista delle prossime elezioni, dall’altro aumenta il livello delle aspettative dei cittadini delusi ed adirati per lo status quo.
La conseguenza di tutto questo è che, se una previsione deve essere esplicitata, un eventuale primo esecutivo grillino non solo potrebbe essere l’ultimo, ma contemporaneamente potrebbe segnare la fine di questo movimento. Se i pentastellati, infatti, non si doteranno velocemente di una squadra di governo competente; con obbiettivi di reale cambiamento rispetto alle politiche finora vigenti; in altri termini, se tradiranno quella supposta ventata di novità che pretendono di rappresentare rispetto sia alle vicende nazionali che a quelle internazionali, potrebbero implodere nel giro di pochissimi mesi. E per loro non varrà la seconda (e spesso anche la terza) chance che normalmente il distratto elettorato italiano concede agli altri amministratori. Quale senso avrebbe la permanenza di una forza che fa della palingenesi del sistema la sua ragion d’essere, quando questo cambiamento radicale dovesse essere tradito? Sotto i colpi congiunti dei media e delle forze politiche avverse, il M5S potrebbe liquefarsi in mille rivoli tra oltranzisti della prima ora e moderati, tra anti e filo europeisti, tra innamorati dell’occidentalismo e simpatizzanti di Putin. In quel caso, altre ipotesi potrebbero sorgere. Un nuovo quadro politico potrebbe disegnarsi. E forse, potremmo ritrovarci a scrivere un nuovo “Risiko Italia”.