SIAMO ALLE SOLITE…

 

di Marcello D’Addabbo

Volevamo stupirvi con effetti speciali, invece…siamo alle solite. Purtroppo. Mentre scriviamo Luigi Di Maio è in Usa, in realtà è lì già da qualche giorno il che ci permette di analizzare le circostanze di questa ennesima sodomia coloniale italiota. Certo, direte voi, il rito del “viaggetto a Washington” del possibile futuro titolare di Palazzo Chigi è un rito consolidato dal ’47 (lo inaugurò De Gasperi con il famoso cappotto prestato dall’amico Dc Attilio Piccioni), e proseguito con una sequela di trasvolate che vanno da Occhetto e Fini – i pericoli rossi e neri che andavano sventati – fino a Napolitano, quest’ultimo quasi uno stalliere della Casa Bianca. Ma se quelle visite potevano destare un certo imbarazzo a democristiani, comunisti e postfascisti degli anni ’90, Di Maio, al contrario, in Usa ci è andato con il piglio di uno scolaretto entusiasta con lo zainetto pieno di compitini da far vedere al maestro. Lo stile è sempre quello da primino della classe perfettamente sbarbato e non cambierà mai – è Di Maio che ci volete fare mica uno statista – ma ciò che rileva è il contenuto delle dichiarazioni e incontri sin qui trapelati. Già nelle riunioni preliminari traspare l’intento della gita scolastica: «Basta con questa storia della Russia e che siamo alla mercé di Putin – ha dichiarato – non sta in piedi e ci fa solo del male». Segue una cena con l’ambasciatore Armando Varricchio (quello nella foto-ricordo), accompagnato dal capo della comunicazione Rocco Casalino e dal consigliere politico Vincenzo Spadafora, a cui si deve molto della ribalta internazionale del candidato premier del M5S. E si passa al piatto forte del viaggio: oltre un’ora di colloquio con Conrad Tribble, vice assistente segretario di Stato per l’Europa occidentale (il nostro cane da guardia insomma), meeting del quale trapelano stralci e indiscrezioni che lasciano ben poco spazio alla fantasia. La prima precisazione è sulla Nato: «Non vogliamo uscire», tuona Di Maio. A settembre aveva quantomeno detto no all’innalzamento al 2% del Pil come contributo italiano all’Alleanza Atlantica (come richiesto da Trump). Ora sembra aver cambiato idea: «Non diciamo no ma abbiamo perplessità che si utilizzino 14 miliardi in più solo in armamenti. Spendiamoli in intelligence e tecnologie…». Della serie cambiamo la voce di spesa e il gioco è fatto. Stessa solfa sulla missione afgana dove Di Maio sembrava per un istante folgorato da un impeto craxiano…quasi una folata dello spirito di Sigonella: «Se andremo al governo ritireremo il contingente!!». E qui non facciamo in tempo a fargli la ola, che siamo subito raggelati dall’immediato e immancabile “ma”…«Ma confermiamo la nostra partecipazione alle missioni di pace(!!)». Cioè, basta cambiare la ragiona sociale, il “brand” della missione, e il M5S si rimangia l’impegno del ritiro dei contingenti militari italiani all’estero, voluti lì dagli Usa. Sarebbe stato più serio sostenere di credere fermamente nell’opportunità delle guerre Usa, come in passato fecero Oriana Fallaci, la Bonino e Ferrara che nascondersi ignobilmente dietro regole di ingaggio, cornici internazionali e presunti umanitarismi. Forse un personaggio mediamente scolarizzato che colloca senza tentennamenti Augusto Pinochet in Venezuela non sa che dall’intervento in Vietnam gli Usa non hanno mai più definito “guerra” una loro missione militare. Gli interventi americani sono sempre umanitari, operazioni anti terrorismo o sostegno alle opposizioni democratiche, se si cerca un pretesto semantico per mantenere i soldatini italiani in Afghanistan non c’è che l’imbarazzo della scelta, la sinistra italiana di lotta e di governo può dargli lezioni. Poi si giunge alla questione elettorale: «Ma se non fate alleanze come pensate di governare?», chiede l’interlocutore americano, arcigno e diffidente. E qui viene tradito un altro dogma del movimento – zero alleati. «Se non avremo la maggioranza assoluta – risponde allusivo – ci assumeremo la responsabilità di non lasciare il Paese nel caos». Già si vede all’orizzonte la faccia compiaciuta di Bersani nell’inedita e insperata veste di garante degli equilibri atlantici in un governo 2018 zeppo di tecnici con il movimento di Grillo posto sotto tutela, fuori dai ministeri chiave ad occuparsi solo di pale eoliche, startup, auto elettriche e cantieri da aprire con Renzo Piano. Con tanti prati verdi a circondare la bandiera americana. La proposta di eliminare le sanzioni contro Mosca è stata nel frattempo derubricata a mera questione commerciale per favorire l’export italiano e il ragazzo di Pomigliano nella medesima sessione di incontri ha anche ribadito che non desidera un’Italia fuori dall’Ue ma solo rivedere i trattati europei (con il permesso della Merkel magari?).

Insomma il quadro è completo, la cornice anche. Le contraddizioni interne al movimento però sono tutt’altro che risolte. Di Maio di fatto è l’atlantista del gruppo ma sa benissimo che tra i grillini a giocare con la sponda russa sono stati in diversi. Alessandro Di Battista, il senatore Vito Petrocelli e soprattutto Manlio Di Stefano, responsabile Esteri del movimento, di fatto oggi esautorato, un sovranista che parla chiaro. Il viaggio di Di Maio manda anche in soffitta le dichiarazioni amichevoli sul Venezuela di Maduro della senatrice Ornella Bertorotta e dello stesso Di Battista. Una svolta che però non convince molto la Casa Bianca, tanto che gli spifferi della Sala Ovale riportano come l’establishment della politica estera di Washington veda un’Italia meglio servita (per servire) da un governo di centrosinistra o centrodestra, piuttosto che dal Movimento 5 Stelle. E’ Charles Kupchan a rivelare l’indiscrezione, globalista incaricato già da Obama di elaborare piani di contrasto al populismo, soprattutto europeo. Nell’amministrazione Trump, poi, dopo i risultati delle elezioni in Sicilia si è solidificata la corrente che spera nel ritorno a Palazzo Chigi della coalizione guidata da Silvio Berlusconi. Forse neanche sotto Bush Berlusconi ha avuto a Washington una sponda così. Deve essere frustrante per Di Maio aver fatto per giorni il “Balilla” della causa americana per essere poi surclassato da Berlusconi. «M5S – spiega Kupchan – rappresenta un partito allineato con il sentimento populista, potenzialmente pericoloso per il processo di integrazione europea, e dannoso per la solidarietà transatlantica». In realtà, purtroppo per molti elettori grillini, Kupchan e i suoi amici globalisti non hanno nulla da temere da uno come Di Maio. Ma in rete le reazioni della base grillina non mancano e proprio sotto il racconto di viaggio pubblicato dal Balilla-yankee sul blog di Grillo, si leggono commenti molto eloquenti nei quali si ricorda a Di Maio che gli Usa rappresentano quasi tutto il contrario di ciò che viene praticato dal movimento: liberismo sfrenato, guerrafondai, tra i primi tre paesi più inquinanti del mondo, colonialisti etc etc. “Non siamo filorussi – scrive un iscritto – ma, dovremmo esserlo!”. “Forse – caro Di Maio – non ha presente chiaramente il ruolo fondamentale che sta avendo la RUSSIA in questo periodo storico, unico vero argine al totalitarismo liberale partorito e finanziato dalle lobbies americane”. Non sono pochi i commenti di questo tenore, contro il processo di evidente democristianizzazione del movimento. Ma la normalizzazione va avanti e alcuni giornali segnalano un fatto curioso, soprattutto per le tempistiche: da diversi giorni e con regolarità inquietante stanno sparendo, dai siti della rete pro M5S (a volte siti ufficiali della Casaleggio, altre volte siti non ufficiali simpatizzanti) pagine, post, video che hanno rappresentato contenuti fondamentali della propaganda pro Putin, o no vax, apparsa nel mondo grillino nel biennio cruciale 2015-2017. Risulta inaccessibile, da “La Fucina”, un link storico sul volo MH17 della Malaysia airline che si schiantò in Ucraina il 17 luglio 2014, che rivelava coinvolgimenti ucraini in quella tragedia. Altro esempio, un video apologetico di Putin titolato «vogliono incatenare l’orso russo», accompagnato da un testo di Manlio Di Stefano, reca da settimane il messaggio: «Error loading player: No playable sources found». Si trattava di un video de La Cosa (la tv ufficiale del blog di Grillo). Sono solo alcune delle decine di segnalazioni che stanno insospettendo la base grillina e i social network, convinti che su questa mirata e occulta depurazione del web grillino vi sia la mano di Casaleggio e del suo clan di esperti informatici. Sarebbe interessante vedere i tessitori della rete restare impigliati tra le maglie della creatura che essi stessi hanno creato, nell’atto di volerla censurare. Una rete che potrebbe essere molto più vivace e reattiva di quanto questi guru del web avevano previsto. Gli effetti speciali potremmo forse vederli soltanto qui nel web, per la politica del movimento, al contrario, stiamo assistendo a riti istituzionali che si ripetono seguendo un copione consolidato negli anni. Siamo alle solite. Purtroppo.

BLUE WHALE CHALLENGE. LA STRAGE DEI GIOVANI RUSSI

di Leonardo Petrocelli

In principio fu Irina Polyncova, sedicenne russa, che dopo aver appoggiato il capo su un binario, si lasciò decapitare da un treno. Con tanto di selfie incorporato. Da lì in poi, si sono spalancate le porte, anzi le fauci, della Blue Whale, la Balena Azzurra, un macabro gioco online che, dopo aver sottoposto gli adolescenti a tragiche prove per 49 giorni, li spinge, nell’ultimo, il cinquantesimo, al suicidio. Non crediamo di raccontarvi nulla di nuovo perché il 14 maggio, come molti di voi sapranno, Le Iene hanno mandato in onda un lungo servizio sulla faccenda, svelando i dettagli del caso.

Tuttavia, crediamo che un ragguaglio possa comunque risultare utile. L’arena in cui tutta la storia si volge è VKontakte (VK), il Facebook russo. Qui tantissimi adolescenti, di età compresa tra i tredici e i diciassette anni, sarebbero entrati in contatto con i “curatori”, cioè gli amministratori della Blue Whave, appostati in giro per il social allo scopo di reclutare ragazzini da inserire nel gioco. Una volta individuata la preda e dopo averla indotta “ufficialmente” a partecipare, può iniziare l’orribile spettacolo. Il curatore, una sorta di tutor deputato a seguire, passo dopo passo, le prove della vittima, fornisce giornalmente istruzioni su cosa fare. Il gioco dura cinquanta giorni. E, dunque, sono cinquanta anche gli step da superare per salire di livello. Pena, la pubblica gogna, la derisione collettiva per essere stati piagnucolosi, deboli, vigliacchi e incapaci di condurre l’impresa fino al tragico epilogo. Bullismo da terza media che, però, a quanto pare, funziona benissimo.

La lista completa delle prove ve la risparmiamo, anche perché pare ve ne siano diverse in giro, limitandoci a qualche cenno dalla più diffusa:

Giorno Uno: Inciditi #f57 (l’hastag di riferimento, ndr) sulla mano e invia foto al curatore.

Giorno Due: Svegliati alle 4.20 e guarda i video psichedelici, o dell’orrore, che il curatore ti ha inviato.

Giorno Tre: Tagliati il braccio fino alle vene, ma non troppo in profondità, solo tre tagli. E invia foto al curatore.

Giorno quattro: Disegna una balena e invia foto al curatore.

Giorno cinque: Se sei pronto a diventare una balena, inciditi YES su una gamba. Se no, tagliati tante volte, per punirti.

In un crescendo rossiniano di orrore, si va avanti così per altri quarantaquattro giorni. I ragazzi sono indotti ad ascoltare musiche tristi e deprimenti, a guardare filmati di omicidi, suicidi e rituali satanici. Il ventottesimo giorno non dovranno parlare con nessuno.  Un’altra volta, toccherà loro procurarsi dolore fino a vomitare. E ancora tagli, punture, gru da scalare e passeggiate sui tetti. Non ci vuole un luminare per capire che ci troviamo innanzi ad un lento rituale psicologico di decostruzione e svuotamento.  Li “cuociono” fino alla prova definitiva. Giorno Cinquanta: Gettati da un palazzo e ucciditi.

Se state pensando che si tratti un fenomeno marginale, vi sbagliate. Finora, pare che in Russia siano 157 gli adolescenti che si sono tolti la vita arrivando in fondo alla Blue Whale. E, ora, sembra che il gioco sia sbarcato anche in Brasile, Gran Bretagna, Francia e – dopo il caso di Livorno del febbraio 2017 (un adolescente si è lanciato dal grattacielo di Piazza Matteotti) che apre il reportage delle Iene – anche in Italia. Ci muoviamo con il condizionale perché il terreno è minato nonostante la questione sia oggetto da tempo, in Russia, di inchieste, approfondimenti, dibattiti parlamentari e nuove misure restrittive. Inoltre, l’orizzonte non sembra nemmeno totalmente saturo. Ci sarebbe in giro un altro gioco, ancor più inquietante, perché rivolto a bambini ancora più piccoli. È la Fata di Fuoco, una sorta di cartone che invita i giovanissimi a recarsi in cucina, accendere il gas e trasformarsi in una Winx, una fata di fuoco, appunto. Il tutto, senza farsi scorgere da nessuno, “altrimenti la magia finisce”. Purtroppo, qualche bambino c’ha provato e potete immaginare con quali esiti.

In questa cascata di orrori, gli elementi rilevanti non sono pochi. Innanzitutto, il gioco principale, Blue Whale, colpisce in modo indiscriminato figli di giudici, insegnanti, operai o contadini. Il livello di benessere e di istruzione non è rilevante. La trappola è congegnata in modo da plasmare anche le menti, per quanto l’età consenta, più attrezzate. Secondo: i ragazzi coinvolti non avevano disturbi psicologici in corso o alle spalle. Tutti felici, allegri, generosi e spensierati. Insomma, non solo chi è vulnerabile è in pericolo. Terzo: i simboli. “Abbiamo visto i nostri figli disegnare continuamente balene ma non ci abbiamo fatto caso. È un simbolo positivo”, hanno spiegato i genitori delle vittime. In realtà, la balena non lo è affatto. Da sempre emblema di morte e rinascita, concetto delicatissimo che si presta a molteplici interpretazioni e manomissioni, è l’unico animale a spiaggiarsi volontariamente, ad andare a morire per propria scelta. Inoltre, nella tradizione di molte tribù, la sua uccisione costituisce l’atto sacro per eccellenza. Se il ragazzo decide di diventare balena (giorno cinque), incidendosi YES sulla carne, per il sacrificante è arrivato il momento di affilare i coltelli.

E siamo arrivati al punto: chi è il sacrificante? Al momento l’unico arrestato è tal Philip Budeikin, un ventenne con tre anni di psicologia alle spalle. Probabilmente, solo l’ultimo anello della catena. La traccia più interessante è invece quella fornita da Sergej Pestov, l’animatore di una associazione che unisce i familiari delle vittime nella lotta alla Blue Whale. “Sappiamo che alcuni di loro – afferma – sono psichiatri che agiscono, oltre che dalla Russia, da Israele, dall’Ucraina (la guerra continua? ndr) e dal Canada. Ma non conta l’origine, è la rete che li unisce”. Che ne dite? Fingiamo di credere all’ultima affermazione? Sarebbe comodo, non c’è dubbio. Di questi tempi, infatti, guai a tirare in ballo il doppio fondo della Storia, peggio se collegato al labirinto oscuro delle pratiche di controllo mentale o ai macabri rituali del Potere sui quali, ogni giorno, si scoprono cose nuove. Le accuse di complottismo ci seppellirebbero all’istante nonostante l’entità dell’attacco e la quantità delle vittime segnalino, in modo inequivocabile, una presenza massiccia di operatori dedicatisi ad una impresa non certo nata nella cameretta di un adolescente annoiato, ma attentamente pianificata da esperti del settore. Ma figuriamoci, guai a dirlo. Però, noi ce ne freghiamo, registriamo la traccia e vi promettiamo di non perdere d’occhio questa storia, di continuare a indagare.

Anche perché, forse non sapete, ma qualcuno ci ha preceduti sulla via del complotto. Il ben noto e occidentalissimo “Huffington Post” ha radunato una serie di autorevoli e altrettanto occidentalissime fonti – NetFamilyNews.org, Safer Internet Center e Radio Free Europe (quest’ultima, ve la raccomandiamo) – per suggerire una ipotesi di un certo interesse: quella della Blue Whale sarebbe una…fake news! Un balla, insomma, una bufala, un’invenzione totale. Messa in giro da chi? Ma da Putin, ovviamente, allo scopo di procurarsi una scusa per censurare i social network. Che poi, in realtà, è esattamente quello che stanno facendo i governi occidentali con la loro opera repressiva di controllo. Ma è inutile anche discuterne. Come noto, il Potere non sa far altro che proiettare sugli altri l’ombra di sé.

Dunque, non sprechiamoci nemmeno inchiostro. Se non per limitarci a rilevare come tutta questa storia non solo non faccia il gioco dello Zar ma, al contrario, lo danneggi. E non tanto sul versante della sicurezza informatica con Mosca che si scopre permeabile all’opera indisturbata di assassini e di maniaci. Piuttosto, il problema è un altro. Ora, i detrattori di Putin potranno agevolmente affermare che la sua cura conservatrice fatta di valori familiari, nazionali, religiosi e comunitari non ha funzionato. Che i giovani russi sono deboli, vulnerabili e fragili, fino all’idiozia suicida, come quelli del disastrato Occidente. Prendete una delle vittime, la sedicenne Angelina Davydova. Bella, gentile, generosa, soprannominata “la scintilla” dai suoi compagni di classe, trascorreva il suo tempo cantando musiche popolari in abiti tradizionali. Era l’emblema della Nuova Russia. E s’è gettata da un palazzo come tutti gli altri. Se sono così intelligenti da cogliere il collegamento – la Russia, in definitiva, è stata colpita per questo -, ci inzupperanno il pane. Vedrete.

Pur consapevoli che il governo di Mosca operi, gioco forza, su un materiale umano che non è diverso da quello degli altri Paesi, non censureremo l’osservazione affinché tutto questo suoni come un campanello d’allarme anche per chi combatte da questa parte della barricata. L’Avversario gioca sporco, preda chi non ha difese strutturate, fiuta i più deboli e ne sconvolge i parametri, per quanto questi ultimi siano stati edificati in un flusso valoriale sano. E spesso e volentieri, purtroppo, centra l’obiettivo, rischiando di invalidare e screditare le buone opere. Perché il mondo che hai respinto dalla porta può insinuarsi dalla finestra (windows) con esiti devastanti. La rivoluzione avviata in Russia è ancora giovane, acerba, non completamente radicata nelle nuovissime generazioni. E, a dirla tutta, con il suo nazionalismo difensivo, il folklore e il recupero del cristianesimo ortodosso, non sembra esattamente disporre delle armi migliori della Storia. È tanta roba, ci mancherebbe, ma, a quanto pare, da sola non è abbastanza, anche perché l’offensiva sincronizzata dell’orda globale (virtualità, decostruzione dell’identità, svuotamento dell’orizzonte di senso) è spaventosa ed incessante.

E allora? Forse, così come il conflitto sale di livello, anche la consapevolezza – e sarebbe ora – dovrebbe beneficiare di un salto in avanti. Se per i più piccoli è solo una questione di controllo, agli adolescenti andrebbe spiegato che c’è una guerra in atto. Una guerra non (solo) politica o economica ma anche di altro genere. Più sottile, più inquietante, legata a regole che i manuali non raccontano. Il che, ovviamente, non deve avviare un motore di paranoie, ossessioni o timori ingiustificati, ma contribuire a tracciare un solco, una trincea da cui muovere guerra. I ragazzi come esercito, come presidio consapevole di bellezza e libertà. E tuttavia, per far questo, ci vorrebbero innanzitutto degli interlocutori attrezzati, i genitori su tutti, consci loro per primi di come va il mondo e di quali forze, in un senso o nell’altro, se lo contendano. Ma quelle generazioni nate fra la fine della guerra “calda” e il declinare di quella fredda, naufragate in sogni di libertà e benessere, non ne hanno la più pallida idea. La balena azzurra ha i suoi curatori. I ragazzi non hanno nessuno. Anzi, non avevano. Perché qualcuno, ora, sta finalmente iniziando a spiegare loro come stanno le cose.

CHIESA:”SU REGENI INFORMAZIONE GESTITA DA MANIGOLDI”

di Marcello D’Addabbo

“La Storia attraverso le Storie: passato, presente e scenari futuri dell’Europa”, questo il titolo dell’incontro promosso dal Liceo Linguistico “European language school” di Bitonto, nella splendida cornice del Teatro Traetta. Protagonista: Giulietto Chiesa, giornalista esperto di geopolitica internazionale e direttore di Pandora Tv. Una panoramica completa sugli scenari internazionali, economici e politici, la guerra in Siria, l’attuale crisi finanziaria, il terrorismo e il destino dell’informazione.

Giulietto Chiesa, il barbaro assassinio di Giulio Regeni è legato alle attività che lo stesso svolgeva al Cairo o si deve guardare ad un contesto internazionale più vasto interessato a rovinare i rapporti tra Italia ed Egitto?

Propendo per la seconda ipotesi, si tratta di un assassinio politico. Non credo alle tesi diffuse in questi giorni o ad una vicenda di carattere personale, lo hanno ammazzato perché serviva ad inquinare i rapporti con l’Egitto.

Cui prodest?

L’Egitto non piace ad una parte dell’Occidente perché si è schierato con la Russia e perché sta svolgendo un ruolo di riequilibrio tutto sommato positivo. Non sto dando un giudizio sulle qualità democratiche, parlo da osservatore politico. Penso che questo omicidio sia servito ad ottenere l’effetto che poi nei fatti si è realizzato, tutto il coro mediatico si è scagliato contro il dittatore Al Sisi.

Da chi è composto il coro?

Dagli stessi che strillavano contro il dittatore Saddam che non aveva le armi di distruzione di massa o contro Gheddafi che è stato letteralmente massacrato perché ostacolava gli interessi dell’Occidente, gli stessi che oggi urlano contro il dittatore Putin. Sulla mia pagina facebook ho postato questa riflessione, noi abbiamo avuto due assassini politici, quello di Vittorio Arrigoni e ora Giulio Regeni, nel primo caso tutti hanno taciuto perché era piuttosto evidente chi fosse il mandante o se non era evidente si poteva facilmente intravedere.

Anche perché geograficamente molto vicino al luogo del delitto…

Infatti. Un quadro evidente ma in quel caso non se ne poteva parlare. Nel caso di Regeni invece siamo di fronte ad una descrizione ridicola dell’accaduto perché prima di dichiarare la colpa di chiunque, se si vuole essere non dico garantisti ma almeno decentemente giornalisti, si aspettano i risultati delle indagini in corso e non si trasformano mere opinioni in titoli di giornali sparati sulle principali testate. Invece il modo di procedere è opposto: accusano, pubblicano senza verificare niente, poi quando vengono smentiti dai fatti non rettificano. Purtroppo gli organi di comunicazione in Italia sono in mano ad un gruppo di manigoldi che non si occupano mai di controllare quello che scrivono.

Tornando al quadro internazionale, dai colloqui di Monaco tra Kerry e Lavrov sembra raggiunto un accordo sul cessate il fuoco in Siria. La situazione ricorda un po’ la fine della guerra tra Iran e Iraq nel 1988 quando, ad un passo da una vittoria schiacciante su Saddam, l’Ayatollah Khomeyni fu indotto – come affermò pubblicamente – “ a bere l’amaro calice della tregua”. Putin berrà l’amaro calice ad un passo dalla liberazione di Aleppo?

La Russia non berrà nessun amaro calice perché sta vincendo. La tregua la vuole la Russia che infatti ha proposto il negoziato di Ginevra, i russi non sono in Siria per restarci ma per demolire Daesh e poi andarsene.

Nessun intervento di terra, quindi…

Non metteranno piede sul campo, questo posso dirlo con assoluta certezza, nei loro piani non c’è un solo soldato russo a combattere sul territorio né ci sarà in futuro.

E il confronto con l’Occidente?

La Russia ha interesse a che il conflitto siriano si concluda ed è ovvio che per raggiungere questo risultato bisogna realisticamente tenere conto delle forze in campo. Tuttavia “l’amaro calice” temo che dovrà berlo l’Occidente perché Bashar al-Assad rimarrà al potere in Siria. Pensare che Putin abbandoni la Siria ai piani di al-Qaeda e dell’Arabia Saudita è una pura illusione.

C’è stata da parte americana ed europea una sottovalutazione del potenziale militare messo in campo dalla Russia in questa crisi?

Non hanno capito che la Russia ha cambiato il quadro militare e politico del medio oriente. Sono rimasti letteralmente sconcertati dai 26 missili di precisione partiti dalla flotta russa nel Caspio e giunti dritti al bersaglio di Daesh attraversando due nazioni, Iran e Iraq. I servizi americani non si sono accorti che questa operazione è stata il frutto di mesi e mesi di preparazione in accordo con gli iraniani. Putin glielo ha dovuto spiegare. Se l’Occidente continua a credere o a fingere che la Russia sia un bluff si farà solo del male.

Negli Usa è in corso il consueto confronto mediatico delle primarie, una vittoria finale dei repubblicani cambierà i rapporti tra Stati Uniti e Russia?

Se la scelta è tra Hillary e Trump preferisco quest’ultimo. Perché Trump è un cialtrone mentre Hillary Clinton è una persona pericolosa. Concordo pienamente con ciò che ha dichiarato Julian Assange, con la Clinton alla Casa Bianca c’è la certezza di vedere nuove guerre, la più pericolosa in campo è certamente lei. Sanders è a mio avviso il candidato migliore. Per quanto i presidenti americani non contino nulla e in quel sistema conta soprattutto chi li paga, il ruolo della personalità nella storia esiste pertanto mi auguro davvero una sua vittoria. Se Sanders non dovesse farcela nel campo democratico meglio comunque Trump della Clinton.