BUONE NOTIZIE…SONO MORTALI.

di Marcello D’Addabbo

Lo scorso 20 marzo è deceduto David Rockefeller, 101 anni, anagraficamente l’ultimo capoclan di una dinastia che si è posta insieme a poche altre in Occidente ai vertici di tutto il potere possibile, finanziario e politico prima di tutto, militare culturale e sociale per diretta conseguenza. Stiamo parlando di uno del club degli imperatori, il famoso 1%, i padroni dell’universo li ha chiamati Giulietto Chiesa, l’élite che assume decisioni in ordine ai grandi eventi del nostro tempo, guerre comprese ovviamente, al fine di garantire la propria continuità sul trono. In 101 anni di vita David si è “limitato” a fondare la Commissione Trilaterale e il Gruppo Bilderberg, restando abilmente dietro le quinte insieme agli altri sodali “illuminati” nella sala di comando delle istituzioni pubbliche, mentre i Kissinger i Brzezinski e i Soros eseguivano. Qui si parla del potere vero e non di quello rappresentato dai maggiordomi politici, la cui transitorietà è stata pensata proprio da queste oligarchie per non trovare ostacoli nei governi eletti (cinque anni massimo di mandato e poi a casa, dovessero i meri custodi dei palazzi rivendicare più di ciò che il padrone concede loro!). Tali rapporti gerarchici si evincono in modo cristallino dagli scarni e felpati comunicati funebri emessi il triste giorno dalla grande stampa, Corriere e Repubblica in Italia, carichi del timor di dio. Per la morte di Rockefeller si riportava un elenco quasi bambinesco di tappe conseguite dall’ormai defunto nel mondo finanziario, posizione sociale, patrimonio calcolato, amicizie, il ruolo di guida nella sua Chase Manhattan Bank e l’immancabile attributo di “filantropo” di cui questi benefattori dell’umanità da sempre godono per i miliardi che scuciono – la liquidità non è un problema se ne controlli l’emissione da mezzo secolo – in opere di beneficienza esentasse, elargizioni finalizzate a controbilanciare l’orrore che da sempre li circonda. Un telegramma benevolo, insomma, di commiato da tutto il mainstream. Eccolo là il regime, se qualcuno per caso avesse perso l’abitudine di individuarne lo zampino. Era evidente allo stesso modo al tempo in cui la stampa italiana e i giornaloni parlavano dell’”Avvocato”, esaltandone in continuazione come un mantra lo stile, distraendo le plebi con il particolare dell’orologio sul polsino, e nascondendo i contorni di tresche con minorenni, cocaina, drenaggio di denaro mafioso nell’azienda di famiglia, abuso di contributi statali, enorme influenza sulle scelte dei governi e leggi compiacenti – circostanze che sarebbero state, all’opposto e in altri tempi, scandagliate e poste sotto un’impietosa pubblica lente d’ingrandimento in casa di Berlusconi, questo parvenu incontrollabile con ambizioni sovraniste a corrente alternata, cui andava precluso per sempre il potere. Non è un mistero che l’epilogo della parabola politica di Berlusconi sia coincisa con l’esaurirsi della pazienza nei suoi confronti da parte del ramo europeo di queste oligarchie, fino ai piani inferiori della catena di comando con i Soros e il nostro immarcescibile capo-condomino, Carlo De Benedetti con la sua legione di Mordor di giornalisti del Gruppo l’Espresso – Repubblica. La colpa principale di Berlusconi agli occhi dei banchieri illuminati, lo sappiamo, ha un nome: si chiama Vladimir Putin, l’arcinemico che vive costantemente sotto il loro attacco. Probabilmente anche l’eccessivo accanimento della magistratura contro il giornalista Augusto Minzolini nasce dal suo azzardo, in qualità di direttore del Tg1, di mandare in onda per lo speciale Tg1 in seconda serata un lungo e oggi introvabile documentario su Ezra Pound e la lotta contro l’usurocrazia bancaria, nel quale si citavano i Rothschild (stesso pedigree del defunto) e il modo in cui questi hanno strangolato i popoli con la manipolazione dei tassi di interesse. Si parlava delle banche d’affari americane e inglesi, della funzione spogliatrice delle medesime a danno dei governi democratici, ruolo operato, aggiungiamo noi, da agenti consapevoli di questi banchieri illuminati (Andreatta e Ciampi in Italia, ndr). Era troppo per Rai 1 dove, si sa, certi contenuti non erano mai stati divulgati. Per una notte quella rete somigliò ad un portale di controinformazione. Non devono avergliela perdonata, al Minzo.

Certo i tempi ormai sono cambiati, parlare di associazioni eversive come la Commissione Trilaterale ed il gruppo Bilderberg anni fa era considerato un delirio complottista mentre oggi non fa più scandalo. In parte ciò è dovuto all’infaticabile lavoro della controinformazione che ha rivelato alla massa, via web, la funzione storica delle grandi famiglie del capitalismo occidentale, riprendendo temi cari a Pound, Sombart ma anche Pareto e lo stesso Marx. C’è tanto di quel materiale sul web che ormai è impossibile nonché inutile chiudere improvvisamente la stalla – e i siti internet – al termine del dilagare della mandria di informazioni incontrollate per tutta la pianura informatizzata. Quanto il defunto David Rockefeller fosse a conoscenza del “pericolo internet” lo apprendiamo per bocca del suo cane da guardia Zbigniew Brzezinski, insieme al primo il fondatore materiale della Commissione Trilaterale e attentissimo osservatore degli eventi che possono ostacolare il Nuovo Ordine Mondiale immaginato dai Rockefeller. Anni fa questa vecchia volpe lanciò l’allarme parlando di un pericoloso (per loro) risveglio politico globale: “la popolazione del mondo sta sperimentando un risveglio politico senza precedenti per portata ed intensità, con il risultato che le politiche di populismo si stanno trasformando in politiche di potere. Per la prima volta nella storia quasi tutta l’umanità è politicamente attivata, politicamente consapevole e politicamente interattiva. L’attivismo globale sta generando un incremento tumultuoso in relazione agli aspetti culturali e alle opportunità economiche, in un mondo segnato dalle memorie della dominazione colonialista ed imperialista. I Popoli sono acutamente consapevoli dell’ingiustizia sociale ad un grado senza precedenti e spesso gonfi di risentimento in quanto percettori della loro insufficiente dignità politica”. Era il 2010 e il populismo non aveva ancora fatto sentire tutta la sua carica innovativa, ma Brzezinski, e dietro di lui Rockefeller, già ne vedevano chiaramente i presupposti. Sentivano la marea montante contro di loro e cercavano il modo di deviarla. Non è facile comprendere le mosse di quel mondo ma può darsi che l’elogio pubblico rivolto proprio a Rockefeller dal Presidente Mattarella in occasione dell’inaugurazione al Quirinale della sessione romana della Trilaterale in aprile 2016 non sia proprio un segno di forza, come ritengono alcuni attivisti del web. Se coloro i quali hanno sempre rifuggito notorietà e telecamere riunendosi solitamente in gran segreto, oggi, fatto inedito e inaudito, affidano l’apertura dei lavori del loro salotto al Presidente della Repubblica Italiana – hanno pensato in molti  – vuol dire che essi non hanno più nulla da temere dal popolo che massacrano e sfruttano. Eppure un’altra lettura potrebbe essere presa in considerazione, ovvero che la notorietà ormai, a causa di internet, non la si può più evitare –  dato che persino le librerie scoppiano di testi sui piani e partecipanti a queste riunioni (non più) occulte – tanto vale allora cavalcarla! Da qui l’inedita esposizione mediatica, mossa che ha anche la funzione di spiazzare le teorie del complotto togliendogli di mano l’arma della presunta, a questo punto, segretezza di Bilderberg e Trilateral. Nel primo decennio del secolo il Pentagono ha annunciato che la terza guerra mondiale si sarebbe combattuta su internet come guerra d’informazione. A seguito di questo proclama sono stati stanziati miliardi di dollari per la contro-propaganda in tutti i paesi occidentali e non, sguinzagliando migliaia di cosiddetti “troll” nei social network con profili falsi. Pagati per aggredire la controinformazione, facilmente individuabili per l’aggressività delle loro pretestuose polemiche e inefficaci a frenare la marea di internauti abituati a reagire scrivendo, diversamente dalla generazione che ha subito la passività cui ti costringe lo strumento televisivo. In queste rappresaglie si scorge la longa manus di quelli che per comodità di prosa e per ragioni storiche definiamo gli illuminati.

Ovviamente ciò che scandalizza non è che il governo dei popoli sia affidato ad oligarchie, consapevolezza che alberga in ogni persona mediamente alfabetizzata che non voti alle primarie del Pd, non legga La Repubblica e non abbia Augias, Gramellini e Severgnini come idoli. La storia, insegna Pareto, è “cimitero di aristocrazie” e ciò che continuiamo a definire democrazia è soltanto il “migliore involucro legittimante del grande capitale” per dirla con Marx, scelto appositamente proprio da costoro per farci distrarre in chiacchiere parlamentari mentre tali poteri non eletti spadroneggiano come pirati in acque imbelli. Come al tempo dei Medici, degli Sforza e dei da Montefeltro, questa gente che vive immersa nel potere acquisendo, pertanto, una percezione della realtà radicalmente diversa da quella dei governati, da sempre tiene particolarmente a curare ed alimentare la propria aura di onnipotenza, di eternità e di timore. Così, oltre alla censura che vige da sempre nella stampa ufficiale sui loro nomi (Mieli e altri direttori dei grandi giornali sembrano non aver mai “notato” la loro influenza pubblicamente), ci sono dall’altra parte i siti internet ultra-complottisti che vogliono convincerci che abbiamo a che fare con una razza aliena – lo sono in effetti ma in senso antropologico e culturale – la genia figlia di qualche covata di extraterrestri sopraggiunti ere geologiche fa…e via fantasticando. E’ la tesi fiabesca di David Icke sui famosi “rettiliani”, che si pone tra X Files e i romanzi di Wells. Di fatto per vent’anni questo individuo, la cui missione è sputtanare letteralmente ogni autorevolezza delle fonti non ufficiali di informazione, ha imperversato sul web dando forma ad ogni sorta di incubo umano in relazione al potere dei banchieri – dei quali alla fine risulta essere il miglior alleato. Grazie a lui migliaia di internauti, per lo più americani – le province Usa infatti sono da sempre credulonandia soprattutto se si parla di Ufo – hanno creduto nei superpoteri degli illuminati, tra i quali troneggiava ovviamente anche il vecchio Rockefeller, e nella sostanziale onnipotenza di questi sulle masse che condizionerebbero in base a non ben precisate “influenze psichiche”. Influenze che questa razza di semidei alieni travestiti da umani possiederebbero come dote naturale esercitata per mantenerci schiavi. Questi complottisti paranoici prezzolati sono i Piero della Francesca di questo tempo, che con meno talento dei loro predecessori costruiscono al pari dei primi immagini iconiche, oleografiche del potere.

Ora, si può anche ammettere che il Nuovo Ordine Mondiale immaginato dal Bilderberg venga realizzato a scapito delle masse e per farlo digerire ai governati questi super banchieri manipolino costantemente la coscienza collettiva, ma ciò è avvenuto, e dall’ultimo dopoguerra avviene costantemente, sul piano dell’influenza mediatica, della cultura, dello spettacolo e persino dell’arte contemporanea, ambiti sui quali l’influenza di una certa intelligence è scontata. Non c’è bisogno di scomodare lucertole dotate di poteri ipnotici. Chi lo fa è certamente in mala fede e desidera che tutta l’informazione libera venga associata a questo complottismo delirante e pertanto facilmente neutralizzata per conclamato deficit di lucidità mentale.. Una “reductio ad Ickeum” figlia della “reductio ad Hitlerum” che il sistema ha impeccabilmente applicato per inibire l’insorgere di ogni identitarismo (associandolo in quel caso ad un tentativo di ritorno al Terzo Reich). Inoltre postulando che gli Illuminati siano invincibili in quanto dotati di influenze superiori si deprime ogni velleità rivoluzionaria e ogni tentativo politico di contrasto alle decisioni del potere in carica sembra destinato al fallimento a meno che non ci si doti della kriptonite. Se poi si osservano con animo sgombro da pregiudizi le immagini che ritraggono in foto i dignitari di queste grandi famiglie del mondo finanziario occidentale è facile credere che siano rettiliani. Considerando ciò che normalmente si attribuisce alle reverende personalità di costoro cioè un insieme ininterrotto di cospirazioni, guerre, stragi, terrorismo, colpi di Stato, manovre politiche e strangolamenti monetari, viene ancora più facile credere che tali affamatori di popoli non abbiano origine terrestre.

Si delinea un enorme affresco nel quale realtà e oleografie apocalittiche si mescolano disorientando i cercatori di verità, inquinando le menti potenzialmente lucide di chi legittimamente, non fidandosi del mainstream, cerca di capire in quale diavolo di mondo ha avuto il destino di nascere, chi lo comanda e in nome di cosa. A costoro ci sentiamo di offrire un umile consiglio, poiché – complottismo o no – tutti sappiamo che Monsanto ed Exxon Mobil, tanto per citare un paio di colossi industriali-finanziari riconducibili alla micidiale stirpe della buonanima, sono state e sono tutt’ora delle macchine di sterminio per intere nazioni – si veda la storia recente di Africa e America Latina, costellata da colpi di mano paramilitari, guerre civili, pulizie etniche, povertà indotta da speculazioni – nonché strumento di enorme influenza su governi, leggi e istituzioni pubbliche occidentali. La buona notizia è che sono mortali e il consiglio è di prenderne atto. Le élite nascono e muoiono e costoro non sfuggono al triste destino che Esiodo poneva a carico degli uomini dell’Età del Ferro, con buona pace della mitologia hollywoodiana che li vuole iper-longevi in quanto già clonati e dotati di organi di ricambio per ogni evenienza – magari custoditi da medici compiacenti in qualche caveau di una fondazione scientifica da essi finanziata. Moriranno tutti invece, anche lo speculatore George Soros e Lord Jacob Rothschild (forse prima di Putin che quest’ultimo cerca da anni di fare fuori). Sono quasi tutti over 80, con eredi dissociati e cocainomani alla Lapo Elkann e nessuno in grado di continuarne l’opera, nel mondo creato dalle rivoluzioni finanziate e dirette dai loro antenati. Un mondo che oggi sotto tutti i punti di vista sta andando decisamente a rotoli. La macchina globale che hanno costruito è da tempo sfuggita al loro controllo, innescando l’ovvia reazione a catena di processi autodistruttivi che offre il suo osceno spettacolo già da qualche decennio. L’11 settembre ha rappresentato un geniale e criminale tentativo di rimettere il genio nella lampada e tornare a governare le dinamiche collettive mediante finte contrapposizioni che mobilitino masse al suono di un’ossessiva propaganda. Sappiamo che non tutti in quella fase concordavano con chi ha deciso la svolta all’interno dell’oligarchia criminale guidata, tra gli altri, anche da Rockefeller. Si è rivelata un clamoroso flop da milioni di morti, ritardando solo di pochi anni il declino americano. Oggi cercano di prendere il controllo dell’amministrazione Trump e l’impressione di goffaggine che stanno dando le piroette in cui la Casa Bianca si sta esercitando tradisce forse il vuoto lasciato anche dal vecchio Rockefeller, uno che aveva creato Pinochet e ci sapeva fare. Così come il ramo francese della dinastia di banchieri che governa più di altre in Europa (Rothschild) ha dovuto calare la carta Macron per impedire che il crollo dei partiti tradizionali – la caduta dell’involucro legittimante denuda il potere – porti al governo gli incontrollabili leader populisti. L’economia reale non produce più profitto, non viene distribuita più ricchezza come nei favolosi anni della cornucopia consumista e a pancia vuota – e senza la classe media a fare da filtro – la massa inizia ad insorgere e ad informarsi mentre questi ottuagenari geni della truffa iniziano anche loro a schiattare. Si sente ormai l’approssimarsi della fine di un ciclo e il vuoto lasciato dalla fine dell’”era dei Rockefeller” verrà riempito da quel risveglio mondiale che tanto essi temono.

DA DOVE VENGONO I POVERI?

2

di Leonardo Petrocelli

Nel suo celebre libro La grande trasformazione (1944), Karl Polanyi si pone la stessa domanda degli osservatori inglesi della seconda metà del Settecento: da dove vengono i poveri? Un interrogativo sciocco, in apparenza, e probabilmente privo di senso per l’osservatore contemporaneo, da sempre addestrato a credere che “i poveri” – nell’accezione comunemente data al termine – siano esistiti in ogni anfratto della storia umana, nel Settecento come al tempo degli assiri. Eppure, in Inghilterra, a nessuno era venuto in mente di domandarselo prima.

Cosa aveva destato l’improvvisa curiosità dei pamphlettisti? Banalmente, l’inaspettato apparire, scrive Polanyi, “di una massa enorme di persone più simili a spettri che ad esseri umani”, un esercito di “indescrivibili animali del fango” che si trascinava per l’Inghilterra mendicando sussidi statali e migliorie per la propria condizione. Un fatto inaudito, per l’epoca. Di riflesso, tutti si adoperarono per individuare l’origine del male: ci fu chi puntò il dito contro la scarsità del grano, chi contro la cattiva alimentazione, chi contro i salari agricoli troppo alti o troppo bassi, chi contro l’inettitudine dei lavoratori, chi contro le abitazioni “disadatte”, chi contro il consumo di droghe. Harriet Martineau arrivò a sostenere che gran parte del problema derivasse dall’abitudine, tutta britannica, di bere tè (?), di cui si consigliava la sostituzione con “la birra fatta in casa”.

Naturalmente, all’origine dello scenario da Walking Dead in cui era precipitata l’Inghilterra non c’era nessuna di queste (più o meno) deliranti motivazioni. La verità era altrove. Per inseguirla, Polanyi si getta in una analitica ricostruzione della legislazione proto-lavoristica in voga al tempo, trascinando lo sventurato lettore per pagine e pagine di bizantinismi e speculazioni socio-giuridiche. Ma proprio quando quest’ultimo, ormai mostruosamente appallato, si avvia ad abbandonare ogni speranza di giungere ad un epilogo comprensibile, ecco Polanyi enunciare, d’emblée, la soluzione in modo fulminante (e stranamente sintetico): il problema risiederebbe nel “rapporto fra pauperismo e progresso”.  Più cioè la società va avanti, evolve, innova, si urbanizza e genera ricchezza – in una parola “progredisce” – più aumentano i poveri. Non sarà infatti sfuggito a chi mastica un po’ di storia che l’Inghilterra cui si riferisce Polanyi, quella a cavallo fra Settecento e Ottocento, è precisamente la nazione che offrì al mondo il miracolo compiuto della rivoluzione industriale, della macchina al servizio dell’uomo e delle rotte commerciali moltiplicate. Ma, insieme a tanta opulenza, la perfida Albione inaugurò anche un’altra cosa, altrettanto sconosciuta: la disperante povertà di massa. “Niente – scrive Polanyi – salvò il popolo inglese dagli effetti della rivoluzione industriale. Una fede cieca nel progresso spontaneo si era impadronita della mentalità generale e con il fanatismo dei settari anche i più illuminati premevano per un cambiamento senza limiti né regole della società. Gli effetti della vita sulla gente erano tremendi al di là di ogni descrizione”.

L’esistenza di un nesso causale fra pauperismo e progresso non sfuggì nemmeno a De Tocqueville che, in un’opera a questo dedicata (Il pauperismo, 1835), fornisce alcuni dati illuminati. Nell’Inghilterra di quel periodo – racconta – c’era un povero ogni sei abitanti. Negli Stati all’alba del processo industriale il rapporto si decongestionava, calando a uno su venti. In quelli, infine, in cui la nuova civiltà progredita era presente solo a livello seminale, si scendeva ancora a uno su cinquantotto. Dati comunque alti, altissimi se si considera che nelle civiltà premoderne la percentuale dei poveri era intorno all’1%. Addirittura, come spesso ricorda Latouche, in tante civiltà africane la parola “povertà” non è mai esistita ed è stata introdotta solo all’arrivo degli occidentali e del loro modello industriale avanzato. Vale lo stesso per il Medioevo, la cui rappresentazione di mondo oscuro battuto da torme di storpi e derelitti è figlia esclusiva di una narrazione tutta orientata all’esaltazione del progressismo, la stessa che per decenni aveva nascosto la tragedia inglese post-rivoluzionaria, diluendola nel mai giustificato mito dell’“adattamento graduale” con l’ammissione di qualche sbavatura reazionaria (i luddisti) a condire la minestra.

Ma non è solo una questione di numeri. Perché, per pochi che fossero, i poveri sono certamente esistiti anche prima dell’irruzione della modernità, ma la loro condizione era ben diversa rispetto a quella dei loro omologhi settecenteschi. Come sostiene l’illustre medievista Michel Mollat Du Jourdin, i poveri nel Medioevo – quelli veri, da distinguere dagli adepti dell’indigenza volontaria – erano “sofferenti ma integrati”, cioè sostenuti e supportati da tutto un sistema di tutele, materiali e immateriali, che forniva a chiunque, perfino allo scemo del villaggio, un ruolo nella comunità. Senza, oltretutto, alcuna ricaduta morale perché tali dispositivi, lungi dall’essere, come l’assistenzialismo odierno, una forma di umiliazione per lo sventurato, fungevano da paracadute di dignità.

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Luddisti in rivolta contro le macchine tessili

Ora, se i dati si inscrivono nel quadro della certezza matematica, rimane il problema interpretativo. La società industriale produce povertà. Ma perché? Polanyi sostiene che ciò accada in quanto l’economia di mercato, anche quella embrionale, mercifica la terra, la moneta e il lavoro (cioè l’uomo), esponendoli ad ogni tipo di fluttuazione ed avviandosi, per questo, ad una inevitabile distruzione. È una verità che va completata. Di fatto, la rivoluzione industriale sconvolse definitivamente – quale terminale ultimo di un lungo processo – un ordine economico che aveva retto per secoli, pur fra ingiustizie e disparità, perché capace di imbrigliare il demone dell’economia nelle maglie della vita comunitaria, attraverso complessi sistemi rituali, cerimoniali e convenzionali. Gli scambi, i commerci, così come la produzione, hanno sempre avuto cittadinanza ad ogni latitudine e in ogni tempo, ma la “terza funzione” – subordinata a quella sacerdotale e guerriera – era tenuta sotto controllo, impossibilitata a debordare e, per capirci, a sradicare il contadino inglese dal campo su cui aveva sempre lavorato per precipitarlo nel deserto industriale del North West ove si sarebbe trasformato in un pericoloso mendicante urbano. In un “povero moderno”, solo, senza salvazione, totalmente dipendente dall’erogazione altrui di reddito monetario.

Ma ciò che ha distrutto questo equilibrio non assomiglia, come la vulgata insegna, ad una sorta di conquista dall’interno. L’economia non ha semplicemente detronizzato la politica, “possedendo” così la società in una sorta di golpe che basterebbe ribaltare per riportare le cose a posto (il famoso “ristabilire il primato della politica sull’economia”). Ha fatto di peggio e quasi il contrario. L’economia si è autonomizzata, è “uscita” dal ventre della civiltà per creare un immaginario alternativo, un universo parallelo, un mundus imaginalis di debiti e crediti nel quale ci ha trascinati tutti, rinchiudendoci a doppia mandata. Come il genio (jinn) delle favole orientali che, vellicando l’ingordigia del malcapitato con il prodigio dei tre desideri, finisce per intrappolarlo nella lampada. Non siamo posseduti, siamo stati mangiati, inglobati. La presa è avvenuta dall’esterno, non dall’interno. E ogni volta che il demone scuote il corpo – prima rivoluzione industriale, seconda rivoluzione industriale, rivoluzione telematica, rivoluzione digitale e ora smart manufactoring – noi che ci stiamo dentro siamo esposti al terremoto di turno. Allora come oggi: nell’era dell’orgia finanziaria, delle montagne di derivati, dei debiti non solvibili, della robotica che pensiona l’uomo senza margini di riposizionamento, dell’accerchiamento globale privo di zone franche, quale credete sarà la vostra fine?

Sì, esatto. Quella degli inglesi del Settecento, “spettri” e “animali del fango”. Certo, mutatis mutandis, qualcuno dà ancora la colpa al tè, come la Martineau secoli fa, ma le sciocchezze non cambiano la sostanza. E non la cambieranno neanche le ricette di destra e di sinistra, né tantomeno le bandiere rosse sventolate al sol dell’avvenire perché anche socialismo e comunismo, con tutti i loro derivati post-moderni, sono figli della rivoluzione industriale e dell’economia come “struttura” della società, cioè si agitano nella pancia del demone e non fuori da essa. Il che – naturalmente – non toglie valore strategico a tutte le battaglie contingenti che, ogni giorno, combattiamo anche noi discutendo su queste pagine di proprietà della moneta, banche centrali, finanza, trattati europei, Job’s act e Ttip. Fronti di lotta sacrosanti, necessari. Ma per portare il mondo fuori dal ventre del demone non basterà uscire dall’euro. Bisognerà uscire dalla lampada e rimettere l’economia al guinzaglio.

CRISI GRECA E DESTINO DELL’EURO. L’INTERVISTA AD ALBERTO BAGNAI

di Leonardo Petrocelli

Professor Bagnai, a cosa (o a chi) è servito il referendum greco?

“A niente, in realtà. Perché Tsipras è schiavo due volte. Da un parte, è schiavo di una ideologia pseudoprogressista che ignora il nesso fra euro ed austerità e presume, erroneamente, di poter mantenere il primo senza la seconda. Dall’altra, è schiavo del nazionalismo ellenico, quello che porta a voler rimanere nella moneta unica per non sentirsi inferiori agli altri”

E quindi come andrà a finire?

“Tsipras, le cui posizioni sono ormai vicinissime a quelle della Troika, puntava fin da subito ad avere un haircut, un taglio del debito. E, ora, con questo can-can mediatico unito alla minaccia di rivolgersi a Putin o ai cinesi, è riuscito a forzare la mano e a portare il Fondo Monetario Internazionale su posizioni più accomodanti. A questo punto non resta che convincere il contribuente tedesco. Impresa non facile come testimonia il tentativo del socialdemocratico Martin Schulz, presidente del Parlamento Europeo, di sgambettare la Merkel accusandola di non tutelare l’interesse nazionale”

Le pressioni sulla Merkel non mancano. Si pensi agli Stati Uniti, preoccupati da un ingresso della Grecia nell’area Brics…

“Si tratta di pressioni molto efficaci e non solo perché gli Usa possiedono numerose basi militari in Europa! Deutsche Bank in America ne ha combinate di cotte e di crude finendo varie volte sotto inchiesta. Sono riusciti a salvarsi solo pagando tre milioni di dollari, di cui 1,8 ai democratici e 1,2 ai repubblicani, sotto forma di contributi elettorali. Ma gli Usa non ci metterebbero nulla a far saltare la Deutsche Bank così come hanno fatto, anni fa, con la Lehman Brothers”.

L’eventuale taglio del debito greco non rischia in futuro di spingere anche altri, per esempio la Spagna o l’Italia, a chiedere lo stesso trattamento?

“Il rischio di effetto domino è concreto e la Germania si trova chiusa in un vicolo cieco perché, per i greci, l’alternativa all’haircut è rifinanziarsi in dracme. Un precedente rischia di crearsi in ogni caso. Ma esiste una possibile contromossa, lo European Redemption Fund. Si tratta di un veicolo finanziario per la gestione del debito eccedente la soglia di Maastricht, cioè il 60%, attraverso meccanismi di forte condizionamento politico, pilotati da una burocrazia non eletta a trazione tedesca. Tradotto: se in Puglia ci sarà bisogno di edificare una scuola saranno loro a decidere se realizzarla o meno”

Ma se le tessere del mosaico dovessero incastrarsi, con il taglio del debito e la permanenza della Grecia nell’euro, non si rischia tra qualche tempo di ritrovarsi nel medesimo pantano di queste settimane?

“Certamente. Ma, vede, i politici ormai si muovono su distanze molto brevi, mirano a sopravvivere fino alla prossima tornata e il primo ministro greco non fa eccezione. Qualcuno sostiene che Tsipras stesse comprando tempo, fin da febbraio, per organizzare l’uscita del Paese dall’euro. Tuttavia, i fatti ci dicono che questa strategia non è mai stata in campo. Ma ciò non toglie che l’euro crollerà comunque quando i cittadini e i politici si renderanno conto della sua insostenibilità e gli attori che versano soldi nel Fondo Monetario Internazionale si stancheranno di finanziare i disastri altrui”

E, infine, veniamo al suo libro. Una delle tesi principali è che l’euro danneggi i lavoratori…

“Molto semplicemente, nell’impossibilità di svalutare la moneta, si svaluta il lavoro. Ma la sinistra, per paradosso, ha deciso di far proprio questo ordinamento economico difendendolo a oltranza. Purtroppo, anche sul versante sindacale, persone come Cofferati e Landini hanno una preparazione macroeconomica equiparabile a quella di Oscar Giannino. È un problema culturale. Ciò nonostante in questi mesi il lavoro di corretta informazione ha portato, per quanto possibile, dei risultati tangibili. La consapevolezza cresce. Ma sarebbe il caso che crescesse anche presso le élites che ci governano”.

*Pubblicata su “La Gazzetta del Mezzogiorno”