L’ASSE DELLA DEMENZA

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In Europa non ha vinto l’astensionismo, è aumentata l’affluenza alle urne (non accadeva dal 1979) e tutto il continente ha dato mandato alle forze sovraniste di abbattere il mostro eurocratico. I dati li sapete: in Francia trionfa il Front National e in Inghilterra l’incredibile Ukip di Farage che sbaraglia un bipolarismo secolare e manda in pensione l’archetipo del paese “normale”, quello in cui fingono di giocarsela una destra e una sinistra identiche a tutto vantaggio del mondialismo. Venti di rivolta spirano anche dai “civilissimi” paradisi della socialdemocrazia nordica: l’Austria, la Finlandia, la Danimarca, la Svezia, l’Olanda, il Belgio. Evidentemente, il verde pubblico, le lavagne elettroniche e le biciclette non bastano più. L’Eldorado rimane comunque l’Ungheria: Orbàn (al governo da un pezzo) sbanca con il 51% e, a ruota, secondo in classifica arriva Jobbik. In Grecia, Alba Dorata sfiora il 10% e in Spagna si fanno largo i movimenti indipendentisti, tallonati dagli indignados di Potemos.

Cos’è? È l’urlo di libertà dell’Europa. Un urlo che però rimane strozzato in gola in due soli paesi: la Germania e l’Italia. Si dirà che, fra l’uno e l’altro, mandano a Bruxelles una pattuglia rilevante di euroscettici. Da Roma partono, in buon numero, leghisti e grillini, da Berlino quelli del partito anti-euro Alternativa per la Germania e l’eterno Udo Voigt. Sì, vero. Ma il dato che dovrebbe far riflettere è la distanza, quasi incolmabile, fra queste formazioni e i partiti vincitori che li hanno doppiati. Non è successo in nessun altro luogo rilevante del continente. La Germania ha qualche scusante in più: l’economia ancora tira e la gente non è alla fame. Però un nuvolone inizia ad oscurare il cielo sopra Berlino e qualcuno, più intuitivo degli altri, comincia a capire che lasciar morire l’Europa non è precisamente una trovata geniale: tra un po’, nessuno avrà più soldi per comprare merci tedesche e ripianare i debiti. E saranno guai. Ma i tedeschi, impolitici per vocazione, di tutto questo hanno compreso poco e si sono premurati di votare la Merkel per la millesima volta.

Chi non ha capito assolutamente niente sono invece gli italiani. Renzi ha vinto, stravinto con il suo 41%. E così l’Italia, insieme alla Germania, ha salvato l’euro, l’Unione e gli eurocrati. Nonché una sinistra, massima interprete del rigorismo criminale, asfaltata non a caso in tutto il continente. Italia e Germania, l’Asse della demenza, appunto. Ma noi abbiamo un problema in più. Renzi è solo al comando e su di lui – su questo novello Berlusconi, simile all’ex Cavaliere anche nell’abitudine di prendere voti che nessuno confessa -, stanno convergendo tutti: la sinistra, sempre compatta, già c’è. La finanza pure: sono lì i De Benedetti, i Serra, i Bernabè, i Carrai. C’è l’Europa peggiore (gli eurocrati non lo ringrazieranno mai abbastanza), Israele e l’America con il caro Ledeen in testa. I voti confindustriali, quelli un tempo del Pdl, sono arrivati a frotte. Si sono aggregati anche i vecchi tromboni dell’Italia Giusta, a cominciare da quell’Eugenio Scalfari, fiero avversario di Renzi, obbligato ad un pietoso ed umiliante dietrofont. Si allineerà presto anche il “culturame”, un tempo scandalizzato dalle sortite di Matteo nel salotto di Maria De Filippi, ed ora già con il cappello in mano: le masturbazioni teatrali e letterarie costano. E, poi, di seguito, tutti gli altri, perché Renzi non sarà Berlinguer, né Prodi e nemmeno D’Alema, ma io tengo famiglia e quindi, quasi quasi, ora lo chiamo.

Questa non è la Balena Bianca, è un mostro mitologico senza precedenti nella storia repubblicana, un Golem spaventoso creato dagli italiani imboniti dagli 80 euro, dall’avvenenza delle ministre bambine, dall’ottimismo danzante e da parole d’ordine di sconfinata mediocrità (“speranza”, “cambiamento”) buone solo per una elezione scolastica. Ci sono cascati, in 11 milioni. Ed ora, se è furbo, Renzi andrà alle elezioni e si prenderà tutto, sbattendo fuori gli alleati Alfano e Monti, sigillando nella lampada il correntino minoritario, facendo salire al Quirinale un Presidente connivente (Prodi?) e dettando legge per il prossimo quinquennio. Che sarà terribile. Perché la crisi è ancora lì, in tutta la sua tragica durezza e si sta per abbattere su di noi ogni genere di sciagura: il Fiscal Compact, il Trattato Transatlantico, il pareggio di bilancio, e l’arma più terribile di tutte di cui nessuno, come ovvio, sa ancora nulla, cioè il Fondo Europeo di Redenzione (ne parleremo nei prossimi articoli).

All’inizio questa profezia sembrerà errata, perché le cose, un tantino, miglioreranno. Umiliati e sconfitti, i leaders di tutta Europa punteranno il fucile in faccia alla Merkel intimandole di cambiare rotta perché, così continuando, finirebbero disoccupati nel giro di un anno. Sta già accadendo. Lei cederà qualche centimetro e il continente forse prenderà un respiro. Uno solo. Il merito sarà dunque tutto della pressione esercitata da Marine Le Pen & Co., come ha ammesso molto onestamente Ilvo Diamanti su Repubblica (“dovremo ringraziare gli antieuropei”), ma Renzi lo spaccerà per un suo successo. E voi ci crederete, di nuovo. L’unica consolazione è che quando le cose peggioreranno, cioè un attimo dopo, lo butterete giù da cavallo, addebitandogli ogni genere di colpa, anche quelle che non ha. “L’ho sempre detto io che non ci avrebbe salvato!”, tuonerete con l’aria di chi la sa lunga, dopo averlo votato in massa. E, a quel punto, il Pd bisognerà cercarlo con il lanternino. Ma quanti irreparabili disastri saranno stati compiuti nel frattempo?

In questo lasso di tempo che ci separa dalla nuova battaglia campale, speriamo poi che il M5S, così com’è oggi, sia scomparso dalla circolazione. La sua funzione era quella di respingere l’avanzata renziana, di rintuzzare l’ultima metamorfosi del sistema e di contribuire allo scacco generale agli eurocrati. In nome di questo intento lo abbiamo incoraggiato e votato, turandoci il naso dinanzi all’infinita sequela di stupidaggini esibite: dagli articoli sul blog contro Orbàn ai vaneggiamenti sulla stampante 3D che produce turbine, fino alla pietosa esibizione di Casaleggio, con cappellino e pastrano nero, che chiede alla folla di evocare l’immusonito spirito di Berlinguer. Avevano un appuntamento con la Storia e l’hanno mancato. Ora non servono più, a meno di evolversi in una direzione completamente diversa. Le speranze sono poche, si vedrà.

Europee: Salvini, voto a Pd o Fi è la stessa cosa

Infine, l’unica nota lieta di questa tornata: la nuova Lega di Matteo Salvini. Complimenti a questo ragazzo, davvero. Con le sue sole forze ha resuscitato un partito moribondo, seppellito dai diamanti in Tanzania, dalle prodezze del Trota, dalle mutande verdi di Cota e ne ha raddoppiato i voti. Ha affrontato il Nord deluso ed è venuto giù, al Sud, a prendersi i fischi e gli sputi degli ultras di “Genny a’ carogna”, ma sempre mantenendo la barra a dritta e martellando su pochi concetti semplici: basta euro, stop all’immigrazione senza fine, tassiamo la prostituzione, aboliamo la Legge Fornero. Cose chiare, comprensibili, intuitive perfino per il cercopiteco italiota a cui le ha inculcate nel modo corretto, con fermezza ma senza urla. Ai più sofisticati, invece, ha dato in pasto i numeri e la verve di uno dei più bravi economisti (di sinistra) italiani, Alberto Bagnai, sfatando il mito dei padani bifolchi e ignoranti. E ora la Lega, nel crollo generale, è il quarto partito d’Italia. Chapeau.

*A cura di Leonardo Petrocelli

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