La redazione
Poche ore ci separano dalle elezioni che decideranno la composizione del prossimo Parlamento italiano, dei prossimi Governi, dopo il collasso istituzionale seguito al golpe del 2011 che portò alla stagione dei 4 Governi non eletti dagli italiani e della tragica rielezione di Napolitano al Quirinale. L’atteggiamento dominante, fascismi immaginari a parte, è quello di una generale rassegnazione. Panorama debilitante restituito dalla gara di promesse fantasiose, candidati premier di partiti dalla consistenza molecolare, scarsa qualità umana dei protagonisti, coalizioni timorose di pronunciare il nome di una guida, perché le forze politiche che le compongono poggiano il proprio consenso sulle differenze più che sulle alleanze. In questa surreale campagna elettorale si registra una generale assenza di coraggio propositivo e la tristissima riesumazione di mummie deprimenti – oltre al patetico Berlusconi si candidano, ancora una volta nunc et semper, Bonino e D’Alema.
Dopo adeguato training autogeno, bendiamoci gli occhi e cerchiamo di recuperare un attimo di lucidità mentale. Partiamo dal presupposto, noto a chiunque abbia minima dimestichezza con la macroeconomia, che l’unica soluzione allo stallo economico dell’Italia attuale è accelerarne la fuoriuscita dai vincoli imposti dall’Ue e dalla moneta unica europea. Qualsiasi soluzione o promessa elettorale che non presupponga tale svolta è un flatus vocis. I vincoli europei portano a recessione conclamata in tutta la porzione d’Europa sita al di fuori dell’”euronucleo” economico formatosi intorno a Berlino. Si ha la sensazione di vivere ormai in una dépendance della Germania, a meno che non si sia inglesi o non si stampi moneta in proprio. In politica estera la soluzione più accettabile sarebbe un passaggio alla neutralità con l’uscita dalla Nato, iniziando con il prendere le distanze dagli scenari interventisti dell’Occidente a guida americana (Siria, Iran, Ucraina e Nord Corea). Posizione assunta da sempre dai nostri vicini svizzeri e dal 1955 anche dagli austriaci, con tanto di legge costituzionale a sancire il divieto all´installazione di basi militari straniere sul proprio territorio. Con l’Italia in quella posizione un piccolo blocco di stati neutrali in mezzo al vecchio continente si riserverebbe il diritto di allearsi, successivamente anche sul piano militare, con i nemici esistenziali del mainstream occidentale.
Bene, il percorso sovranista – repetita iuvant – si conclude con il terzo punto, la nazionalizzazione della banca centrale. Insomma, si esce dalla Nato, dalla Ue, dall’Euro, dalla BCE, dalla crisi e dalla schiavitù del debito pubblico. Quest’ultima è la psicosi collettiva indotta ad arte dai media servi di oligarchie finanziarie ed euroburocrati alemanni, insieme allo spauracchio della crescita dello spread, al fine di sottomettere i popoli senza i vecchi spargimenti di sangue in piazza – a sostituirli nel nuovo tipo di golpe ci sono i suicidi di imprenditori, commercianti, padri e madri di famiglia divorati dai debiti. Così hanno mortificato ogni fiducia nella legittimazione popolare della politica nazionale. Già…la fiducia nel voto, per questo ormai in moltissimi non vanno a votare. Siamo tutti convinti che non serva a nulla, che le decisioni si prendano altrove e che i pupazzi che mandiamo a Montecitorio e Palazzo Madama siano deboli, pavidi, ricattabili e corruttibili, incapaci di assumere decisioni tanto forti di fronte all’inevitabile assedio economico che ne deriverebbe. I traumi nazionali della fine di Mattei, Craxi e della caduta dell’ultimo Governo Berlusconi servono a questo. Abbatterne uno per educare cento. Nessuno ci rappresenta e se qualcuno per caso passasse dal comizio sovranista alle decisioni “irrevocabili” cadrebbe sotto le bombe…quelle della campagna oligarchica che porta poi all’asta deserta dei Bot e al conseguente default. Alla Grecia che con Papandreu osò vagheggiare un referendum per uscire dal giogo.
Da noi manca, in questa campagna elettorale, la presenza di una forza sovranista completa, che non sia dichiaratamente nostalgica di qualche sepolto regime del novecento precludendosi in quel modo l’accesso al voto di massa e alla visibilità mediatica a causa del solito dispendio di energie in giustificazioni storiche su lager e gulag. Una forza capace di proporre per intero il citato percorso rivoluzionario senza attenuazioni e tentennamenti. Di Maio è stato da tempo folgorato anche lui sulla via di Washington e di Londra (come Occhetto e Fini), la Meloni vuole restare nella Nato e Salvini si allea con il novello campione dell’europeismo dell’ultima ora (tifoso di quell’Ue che nel 2011 gliele aveva suonate di santa ragione). Giulietto Chiesa è forte sull’uscita dalla Nato ma tentenna sull’Ue. I comunisti di Marco Rizzo hanno le idee abbastanza chiare ma come Casa Pound ostentano manifesti anni ‘30 e finiscono per cadere nella contrapposizione utile alla sempreverde strategia della tensione. Unirsi al clima da zuffa fra fascisti e antifascisti, che inevitabilmente si dissolverà dopo le elezioni, cioè una volta raggiunto lo scopo di rafforzare il centro, ora non serve.
Tuttavia, inutile fare gli schizzinosi, in una fase eccezionale come quella attuale bisogna cogliere il momento storico e smetterla di applicare ragionamenti vecchi a situazioni nuove. Rassegniamoci, non avremo il movimento che vogliamo, ma ciascuna delle forze citate – fra le quali, è bene ribadirlo, non si può menzionare l’inconsistente bluff a Cinque Stelle – ha qualcosa da dire. E’ sufficiente sposare convintamente un terzo del nostro ideale “programma sovranista”, anche uno solo dei tre punti, per meritare un attimo di attenzione. Il mondo che abbiamo di fronte ha appena visto l’inizio di un movimento collettivo, (Brexit, elezione di Trump, Orban, Kurz, Le Pen alla guida del secondo partito in Francia), lento e crescente ma inarrestabile. E’ un movimento di sollevazione contro le élite finanziarie al quale crediamo e che sosteniamo nelle sue diverse forme perché ne conosciamo le ragioni profonde. Pertanto oggi non è più il tempo di cincischiare nella convinzione che il voto sia un marchio tatuato per sempre sul braccio dell’elettore. Non si tratta di ideologie, qui siamo in guerra e non siamo stati noi popoli occidentali a dichiararla, ma il potere a cui non serviamo più come lavoratori fatti di cane e ossa, come cittadini, come etnia, come uomini o donne aventi un’identità (anche di genere), una coscienza, un senso critico ed una visione. E’ Soros ad averla dichiarata a noi e non vede l’ora che i suoi eterni servi del Pd realizzino il “governone” di larghe intese con Forza Italia, centristi riciclati e brandelli di maroniani e dalemiani. Per instaurare un altro camerierato euroatlantico di cinque anni. Oppure sperano che Di Maio piazzi i suoi ministri professorini dal curriculum “illuminato” e dalla storia un po’ sospetta (vedi Fioramonti). Di fronte a questo scenario ogni voto in meno alle forze sovraniste è un voto al Pd e ci rende responsabili moralmente del nostro destino. Mattarella farà nascere lo stesso il governone pescando da Maroni alla Boldrini, direte voi…probabile, ma questo non ci assolve dall’aver assecondato le loro mire restando a casa domenica. Anche perché una cosa è sicura, ci rivedremo al voto fra cinque anni perché, lo sappiamo per esperienza, non ci concederanno altre elezioni prima della scadenza istituzionale, correndo così il rischio che una svolta appena scampata si ripresenti a breve. Le elezioni in Europa sono diventate una rarità da quando Ppe e Pse sono a terra nei sondaggi. Non ve ne eravate accorti?
Ha scritto giustamente Diego Fusaro “appoggio incondizionatamente tutti i movimenti che nuocciono di più ai vertici dell’aristocrazia finanziaria, quindi, indistintamente, dai comunisti di Marco Rizzo a CasaPound di Simone Di Stefano, passando per tutti i movimenti non allineati e stigmatizzati dal sistema”. Appunto, scegliete la forza sovranista e antisistema più vicina al vostro gusto e storia personale e votate! Senza starci troppo a pensare. Ogni spazio vuoto lasciato ai nostri nemici è un posto in più per loro in Parlamento e lo faranno pesare tutto. Utilizzando la famosa metafora sportiva di Al Pacino, i centimetri che ci servono per vincere sono dappertutto intorno a noi. Qui ce n’è uno in ogni voto. Si vince sottraendo un voto alla volta. Non è politica questa, è una guerra per sfasciare un sistema totalitario già in crisi. Questo è l’unico spirito con il quale andiamo a votare. Con la Daga stretta nel pugno.