Intervista a GIULIETTO CHIESA “Contro la catastrofe”

chiesagRitengo sia tempo di gettare l’allarme, anzi di gridarlo con tutta la forza di cui si dispone. Siamo già in grave ritardo”. Inizia così, con un Avviso ai Lettori che non conosce giri di parole, il volume Invece della catastrofe (Piemme ed., pp. 291, euro 17,50), firmato dal giornalista e saggista Giulietto Chiesa, fondatore del laboratorio politico “Alternativa”. Ampio è il ventaglio dei temi affrontati nel testo: la crisi energetica, quella economica e finanziaria, il ruolo dell’informazione, la deriva della scienza e della tecnologia, il destino dell’Europa e della geopolitica globale. “Ho elaborato questo lungo ragionamento – argomenta Chiesa – per rispondere compiutamente a tutte le domande che mi sono state poste in questi anni, in Italia e all’estero. E mi rivolgo, in particolare, ai giovani perché nei prossimi anni vedremo il verificarsi di quella che non è una vuota profezia, ma un calcolo confortato dai dati”.

Chiesa, qual è il punto di partenza della sua analisi?

La certezza che in un sistema finito di risorse uno sviluppo infinito è impossibile. In questo senso, sono rivelatrici le analisi avviate dal Club di Roma che, fin dagli anni Settanta, aveva sottoposto alla pubblica attenzione il problema dell’esaurimento delle risorse. Nel 2004, si è giunti ad una fase conclusiva del percorso di indagine, con l’elaborazione di nove scenari possibili per l’immediato futuro, tutti catastrofici e derivati dall’intreccio delle varie criticità in esame: energetica, climatica, demografica, finanziaria, dell’acqua. Ognuna è prossima al punto di rottura”

Lei inserisce anche la guerra fra i probabili rischi nel breve periodo…

La carenza di risorse inevitabilmente suggerisce a paesi militarmente attrezzati, come gli Usa, di tentare una soluzione di forza. Dunque, è elevatissimo il pericolo di una guerra globale con quattro principali attori in campo: Stati Uniti, Cina, Europa e Russia, con i primi due nel ruolo di competitori principali. Altri grandi paesi in espansione, come India e Brasile, potrebbero non fare in tempo a sedersi al tavolo dei giocatori”.

Chi potrebbe scongiurare il conflitto?

Europa e Russia sono due giganti che, insieme, potrebbero inaugurare una nuova fase ‘multipolare’ ed evitare lo scontro. Ma, affinché ciò si verifichi, i paesi europei dovrebbero innanzitutto uscire dalla Nato per elaborare una strategia libera da condizionamenti atlantici”

Ma al momento non sembra esistere un forte legame “eurasiatico”….

I russi pare facciano di tutto per farsi temere, esibendo un atteggiamento fortemente antioccidentale. E, a loro volta, i media occidentali si impegnano a dipingere di Mosca un ritratto nefasto con l’obiettivo di scoraggiare il dialogo e creare un avversario. Il risultato di tutto questo è un aumentare rapido delle distanze”.

Perché i media assumerebbero una tale inclinazione?

Noi riteniamo che siano i politici a governare i canali di comunicazione. Invece essi sono legati a doppio filo ai poteri economici e finanziari che lavorano per lo scontro. Dirò di più: i media non solo non subiscono il potere politico, ma lo controllano e lo formano, dettando le tendenze cui conformarsi”.

Nel libro, non solo i giornalisti entrano nel suo mirino, ma anche gli scienziati e, più in generale, gli interpreti del pensiero tecnoscientifico. Perché questo affondo?

Siamo tutti convinti che la tecnologia ci salverà e, invece, è il più grande dei pericoli poiché incoraggia la divisione dei saperi. Uno scienziato conosce alla perfezione il centimetro quadrato di sua stretta competenza ma ignora totalmente il quadro d’insieme. Studia la zolla, non il prato. Invece, ciò che ci serve è recuperare una visione complessiva del Cosmo, delle sue regole e dei suoi equilibri”.

Tornando all’Europa, lei critica fortemente l’attuale Unione ma si schiera contro l’uscita dall’euro. Può chiarire questo punto?

L’euro è il risultato politico di una sconfitta dei paesi europei. Non è la causa dei problemi, ma un effetto che ha ulteriormente alimentato crisi, tensioni e disordini. Quindi, è sul piano politico che bisogna intervenire, rimanendo in Europa e cambiandola. Concordo con lo storico barese Luciano Canfora quando, in un recente saggio (È l’Europa che ce lo chiede! Falso!, Laterza 2012 ndr), auspicava un raccordo fra i paesi del Sud per rinegoziare tutta l’architettura continentale”.

Infine, in quale area politica le riflessioni da lei suggerite trovano oggi ascolto?

Di tutto questo la sinistra ha capito molto poco come dimostra il fatto che le analisi del Club di Roma furono irrise non solo dai poteri finanziari, ma anche dalla sinistra stessa che è ‘crescista’ al pari dei capitalisti. Quanto all’ala radicale, invece, essa si perde in un estremismo che non serve a nulla. Molte delle persone che mi contattano appartengono ad aree politiche diverse…”

…in tanti, infatti, la leggono anche da “destra”, ammesso che questa etichetta abbia ancora un senso..

Ne sono perfettamente consapevole. Lo deduco ogni giorno dalla lettere che mi arrivano. Ma, ormai, supero le classiche distinzioni novecentesche e non chiedo più a nessuno la sua appartenenza. Io stesso non mi definisco né di destra e né di sinistra. Il discrimine è fra chi sa cogliere determinate dinamiche e chi, invece, continua a rifiutarle”

*Pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno” e barbadillo.it

PUTIN: “LE ONG SONO AGENTI STRANIERI”. E la verità divenne legge.

“L’ovvio – ha scritto Kahail Gibran – è ciò che non si vede mai, finché qualcuno non lo esprime con semplicità”. 

Il proposito è diventato legge: in Russia tutte le Organizzazioni non governative (ONG) che ricevono finanziamenti dall’estero sono tenute ad auto-qualificarsi, giuridicamente, come “agenti stranieri”. Pena, l’immediata chiusura e la condanna a due anni di detenzione per i loro dirigenti. Il provvedimento, fortemente voluto dal presidente Vladimir Putin, obbedisce ad una precisa logica politica: smascherare il ruolo operativo esercitato da presunte organizzazioni filantropiche che, dietro la patina zuccherosa delle libertà e dei diritti, incarnano sovente il motore delle eterodirette rivoluzioni “arancioni”, quelle tese a rovesciare i governi degli stati scomodi sobillando in modo pretestuoso l’agitazione interna.

È, questa, la dottrina di Obama o, più precisamente, quella dello stratega Zbigniew Brzezinski che da sempre invita la Casa Bianca a concentrarsi sugli avversari più ingombranti, too big to be attacked, troppo grandi per essere attaccati, ma sabotabili attraverso la propaganda dai diritti, iniziando dai paesi limitrofi. Niente droni, contingenti Nato o bombe intelligenti, bensì la collaudata e sovvenzionata filastrocca in difesa della minoranza di turno, utile ad incendiare l’animo di qualche indigeno culturalmente cresciuto a pane ed Occidente nonché a fornire ai media internazionali argomenti per un massiccio attacco frontale a risonanza globale. Se si aggiunge l’operato di qualche disturbatore inviato all’uopo, il quadro è completo. È, insomma, una guerra da democratici e premi Nobel per la Pace, che lascia le mani pulite, la fedina intatta e il nemico a terra. Ora, sarebbe fin troppo semplice ironizzare su un Occidente che si preoccupa dei diritti pur facendo stragi in mezzo mondo, che seleziona artatamente i governi canaglia (qualcuno sa cosa succede in Arabia Saudita?) e che, da essi, non riceve il medesimo trattamento. Detta più chiaramente, Putin non finanzia gli indipendentisti del Texas o le disagiate minoranze ispaniche, servendosi di organizzazioni di facciata, allo scopo di mettere i bastoni fra le ruote all’amministrazione americana, la quale, tuttavia, non esita a fare il contrario.

Ma più delle parole hanno valore gli esempi. The International Republican Institute (Iri) è una Ong americana, con sede anche a Mosca, impegnata nello sviluppo e nella diffusione della democrazia (leggi sovversione di governi sgraditi). Tale meritoria associazione, dopo aver invano versato 5 milioni di dollari in favore di una rivoluzione arancione in Bielorussia, ha animato e foraggiato, anche qui senza esito, la recente “Primavera russa” dipinta come una oceanica rivolta di donne e blogger in nome della libertà. Putin ha vinto con il 63,75% dei consensi ed il castello di carte è crollato. Curiosamente, l’Iri ha come “chairman” il senatore John MacCain, l’uomo che sfidò Obama nelle presidenziali del 2008 e che l’Italia rossa e rosata si affannò ad insultare come mostruosa replica del criminale Bush, salvo appoggiarlo (inconsapevolmente) applaudendo ai suoi tentativi di abbattere Putin. Tutte le pecore, prima o poi, ritornano all’ovile. Forse perché sfugge loro una ormai evidente constatazione, magistralmente compendiata da Massimo Fini in una delle sue più riuscite affermazioni: “Quando sento parlare di diritti umani metto mano alla pistola. Perché vuol dire che si sta per aggredire qualcuno”.

*Pubblicato su barbadillo.it