BLUE WHALE CHALLENGE. LA STRAGE DEI GIOVANI RUSSI

di Leonardo Petrocelli

In principio fu Irina Polyncova, sedicenne russa, che dopo aver appoggiato il capo su un binario, si lasciò decapitare da un treno. Con tanto di selfie incorporato. Da lì in poi, si sono spalancate le porte, anzi le fauci, della Blue Whale, la Balena Azzurra, un macabro gioco online che, dopo aver sottoposto gli adolescenti a tragiche prove per 49 giorni, li spinge, nell’ultimo, il cinquantesimo, al suicidio. Non crediamo di raccontarvi nulla di nuovo perché il 14 maggio, come molti di voi sapranno, Le Iene hanno mandato in onda un lungo servizio sulla faccenda, svelando i dettagli del caso.

Tuttavia, crediamo che un ragguaglio possa comunque risultare utile. L’arena in cui tutta la storia si volge è VKontakte (VK), il Facebook russo. Qui tantissimi adolescenti, di età compresa tra i tredici e i diciassette anni, sarebbero entrati in contatto con i “curatori”, cioè gli amministratori della Blue Whave, appostati in giro per il social allo scopo di reclutare ragazzini da inserire nel gioco. Una volta individuata la preda e dopo averla indotta “ufficialmente” a partecipare, può iniziare l’orribile spettacolo. Il curatore, una sorta di tutor deputato a seguire, passo dopo passo, le prove della vittima, fornisce giornalmente istruzioni su cosa fare. Il gioco dura cinquanta giorni. E, dunque, sono cinquanta anche gli step da superare per salire di livello. Pena, la pubblica gogna, la derisione collettiva per essere stati piagnucolosi, deboli, vigliacchi e incapaci di condurre l’impresa fino al tragico epilogo. Bullismo da terza media che, però, a quanto pare, funziona benissimo.

La lista completa delle prove ve la risparmiamo, anche perché pare ve ne siano diverse in giro, limitandoci a qualche cenno dalla più diffusa:

Giorno Uno: Inciditi #f57 (l’hastag di riferimento, ndr) sulla mano e invia foto al curatore.

Giorno Due: Svegliati alle 4.20 e guarda i video psichedelici, o dell’orrore, che il curatore ti ha inviato.

Giorno Tre: Tagliati il braccio fino alle vene, ma non troppo in profondità, solo tre tagli. E invia foto al curatore.

Giorno quattro: Disegna una balena e invia foto al curatore.

Giorno cinque: Se sei pronto a diventare una balena, inciditi YES su una gamba. Se no, tagliati tante volte, per punirti.

In un crescendo rossiniano di orrore, si va avanti così per altri quarantaquattro giorni. I ragazzi sono indotti ad ascoltare musiche tristi e deprimenti, a guardare filmati di omicidi, suicidi e rituali satanici. Il ventottesimo giorno non dovranno parlare con nessuno.  Un’altra volta, toccherà loro procurarsi dolore fino a vomitare. E ancora tagli, punture, gru da scalare e passeggiate sui tetti. Non ci vuole un luminare per capire che ci troviamo innanzi ad un lento rituale psicologico di decostruzione e svuotamento.  Li “cuociono” fino alla prova definitiva. Giorno Cinquanta: Gettati da un palazzo e ucciditi.

Se state pensando che si tratti un fenomeno marginale, vi sbagliate. Finora, pare che in Russia siano 157 gli adolescenti che si sono tolti la vita arrivando in fondo alla Blue Whale. E, ora, sembra che il gioco sia sbarcato anche in Brasile, Gran Bretagna, Francia e – dopo il caso di Livorno del febbraio 2017 (un adolescente si è lanciato dal grattacielo di Piazza Matteotti) che apre il reportage delle Iene – anche in Italia. Ci muoviamo con il condizionale perché il terreno è minato nonostante la questione sia oggetto da tempo, in Russia, di inchieste, approfondimenti, dibattiti parlamentari e nuove misure restrittive. Inoltre, l’orizzonte non sembra nemmeno totalmente saturo. Ci sarebbe in giro un altro gioco, ancor più inquietante, perché rivolto a bambini ancora più piccoli. È la Fata di Fuoco, una sorta di cartone che invita i giovanissimi a recarsi in cucina, accendere il gas e trasformarsi in una Winx, una fata di fuoco, appunto. Il tutto, senza farsi scorgere da nessuno, “altrimenti la magia finisce”. Purtroppo, qualche bambino c’ha provato e potete immaginare con quali esiti.

In questa cascata di orrori, gli elementi rilevanti non sono pochi. Innanzitutto, il gioco principale, Blue Whale, colpisce in modo indiscriminato figli di giudici, insegnanti, operai o contadini. Il livello di benessere e di istruzione non è rilevante. La trappola è congegnata in modo da plasmare anche le menti, per quanto l’età consenta, più attrezzate. Secondo: i ragazzi coinvolti non avevano disturbi psicologici in corso o alle spalle. Tutti felici, allegri, generosi e spensierati. Insomma, non solo chi è vulnerabile è in pericolo. Terzo: i simboli. “Abbiamo visto i nostri figli disegnare continuamente balene ma non ci abbiamo fatto caso. È un simbolo positivo”, hanno spiegato i genitori delle vittime. In realtà, la balena non lo è affatto. Da sempre emblema di morte e rinascita, concetto delicatissimo che si presta a molteplici interpretazioni e manomissioni, è l’unico animale a spiaggiarsi volontariamente, ad andare a morire per propria scelta. Inoltre, nella tradizione di molte tribù, la sua uccisione costituisce l’atto sacro per eccellenza. Se il ragazzo decide di diventare balena (giorno cinque), incidendosi YES sulla carne, per il sacrificante è arrivato il momento di affilare i coltelli.

E siamo arrivati al punto: chi è il sacrificante? Al momento l’unico arrestato è tal Philip Budeikin, un ventenne con tre anni di psicologia alle spalle. Probabilmente, solo l’ultimo anello della catena. La traccia più interessante è invece quella fornita da Sergej Pestov, l’animatore di una associazione che unisce i familiari delle vittime nella lotta alla Blue Whale. “Sappiamo che alcuni di loro – afferma – sono psichiatri che agiscono, oltre che dalla Russia, da Israele, dall’Ucraina (la guerra continua? ndr) e dal Canada. Ma non conta l’origine, è la rete che li unisce”. Che ne dite? Fingiamo di credere all’ultima affermazione? Sarebbe comodo, non c’è dubbio. Di questi tempi, infatti, guai a tirare in ballo il doppio fondo della Storia, peggio se collegato al labirinto oscuro delle pratiche di controllo mentale o ai macabri rituali del Potere sui quali, ogni giorno, si scoprono cose nuove. Le accuse di complottismo ci seppellirebbero all’istante nonostante l’entità dell’attacco e la quantità delle vittime segnalino, in modo inequivocabile, una presenza massiccia di operatori dedicatisi ad una impresa non certo nata nella cameretta di un adolescente annoiato, ma attentamente pianificata da esperti del settore. Ma figuriamoci, guai a dirlo. Però, noi ce ne freghiamo, registriamo la traccia e vi promettiamo di non perdere d’occhio questa storia, di continuare a indagare.

Anche perché, forse non sapete, ma qualcuno ci ha preceduti sulla via del complotto. Il ben noto e occidentalissimo “Huffington Post” ha radunato una serie di autorevoli e altrettanto occidentalissime fonti – NetFamilyNews.org, Safer Internet Center e Radio Free Europe (quest’ultima, ve la raccomandiamo) – per suggerire una ipotesi di un certo interesse: quella della Blue Whale sarebbe una…fake news! Un balla, insomma, una bufala, un’invenzione totale. Messa in giro da chi? Ma da Putin, ovviamente, allo scopo di procurarsi una scusa per censurare i social network. Che poi, in realtà, è esattamente quello che stanno facendo i governi occidentali con la loro opera repressiva di controllo. Ma è inutile anche discuterne. Come noto, il Potere non sa far altro che proiettare sugli altri l’ombra di sé.

Dunque, non sprechiamoci nemmeno inchiostro. Se non per limitarci a rilevare come tutta questa storia non solo non faccia il gioco dello Zar ma, al contrario, lo danneggi. E non tanto sul versante della sicurezza informatica con Mosca che si scopre permeabile all’opera indisturbata di assassini e di maniaci. Piuttosto, il problema è un altro. Ora, i detrattori di Putin potranno agevolmente affermare che la sua cura conservatrice fatta di valori familiari, nazionali, religiosi e comunitari non ha funzionato. Che i giovani russi sono deboli, vulnerabili e fragili, fino all’idiozia suicida, come quelli del disastrato Occidente. Prendete una delle vittime, la sedicenne Angelina Davydova. Bella, gentile, generosa, soprannominata “la scintilla” dai suoi compagni di classe, trascorreva il suo tempo cantando musiche popolari in abiti tradizionali. Era l’emblema della Nuova Russia. E s’è gettata da un palazzo come tutti gli altri. Se sono così intelligenti da cogliere il collegamento – la Russia, in definitiva, è stata colpita per questo -, ci inzupperanno il pane. Vedrete.

Pur consapevoli che il governo di Mosca operi, gioco forza, su un materiale umano che non è diverso da quello degli altri Paesi, non censureremo l’osservazione affinché tutto questo suoni come un campanello d’allarme anche per chi combatte da questa parte della barricata. L’Avversario gioca sporco, preda chi non ha difese strutturate, fiuta i più deboli e ne sconvolge i parametri, per quanto questi ultimi siano stati edificati in un flusso valoriale sano. E spesso e volentieri, purtroppo, centra l’obiettivo, rischiando di invalidare e screditare le buone opere. Perché il mondo che hai respinto dalla porta può insinuarsi dalla finestra (windows) con esiti devastanti. La rivoluzione avviata in Russia è ancora giovane, acerba, non completamente radicata nelle nuovissime generazioni. E, a dirla tutta, con il suo nazionalismo difensivo, il folklore e il recupero del cristianesimo ortodosso, non sembra esattamente disporre delle armi migliori della Storia. È tanta roba, ci mancherebbe, ma, a quanto pare, da sola non è abbastanza, anche perché l’offensiva sincronizzata dell’orda globale (virtualità, decostruzione dell’identità, svuotamento dell’orizzonte di senso) è spaventosa ed incessante.

E allora? Forse, così come il conflitto sale di livello, anche la consapevolezza – e sarebbe ora – dovrebbe beneficiare di un salto in avanti. Se per i più piccoli è solo una questione di controllo, agli adolescenti andrebbe spiegato che c’è una guerra in atto. Una guerra non (solo) politica o economica ma anche di altro genere. Più sottile, più inquietante, legata a regole che i manuali non raccontano. Il che, ovviamente, non deve avviare un motore di paranoie, ossessioni o timori ingiustificati, ma contribuire a tracciare un solco, una trincea da cui muovere guerra. I ragazzi come esercito, come presidio consapevole di bellezza e libertà. E tuttavia, per far questo, ci vorrebbero innanzitutto degli interlocutori attrezzati, i genitori su tutti, consci loro per primi di come va il mondo e di quali forze, in un senso o nell’altro, se lo contendano. Ma quelle generazioni nate fra la fine della guerra “calda” e il declinare di quella fredda, naufragate in sogni di libertà e benessere, non ne hanno la più pallida idea. La balena azzurra ha i suoi curatori. I ragazzi non hanno nessuno. Anzi, non avevano. Perché qualcuno, ora, sta finalmente iniziando a spiegare loro come stanno le cose.

IL SOVRANISMO QUALE VETTORE DI UN NUOVO ASSETTO EUROPEO

di Gaetano Sebastiani

Se c’è un concetto politico che negli ultimi anni ha pian piano acquisito sempre più peso nel dibattito pubblico quello è sicuramente il sovranismo. Nell’epoca in cui “la fine della storia” avrebbe dovuto consegnarci ad un mondo puramente teleologico, ecco che questa idea (lungi ancora dal divenire una ideologia compiuta e coerente) si presenta in tutta la sua fresca vitalità per smentire i cantori dell’andamento unidirezionale ed omologante dei processi politici.
I più critici considerano il sovranismo la maschera di un volto sulfureo che volge lo sguardo ad episodi storici novecenteschi da relegare nell’oblio del passato. Certamente, si possono rintracciare legami con tempi trascorsi. Ma quelli a cui i detrattori fanno riferimento servono solo a demonizzarne l’essenza, come se questa operazione da sola potesse arrestarne la diffusione. Le radici del sovranismo, a nostro avviso, vanno sì collocate nel passato, ma non in quello recente. È nel 1648, con gli accordi di Westfalia, che il nucleo moderno di questa idea vede la luce. Devastata da un conflitto trentennale, l’Europa dell’epoca pose fine ad una guerra fratricida stabilendo, tra gli altri principi, quello di mantenere l’equilibrio delle potenze ridisegnate secondo gli esiti post-bellici e soprattutto, il rispetto assoluto delle sovranità nazionali. Nasceva “la ragion di Stato” e, insieme ad essa, il principio della non-ingerenza che, con alterne fortune, avrebbe ispirato la politica continentale dei secoli successivi fino al ‘900, quando le forze internazionaliste avrebbero occupato definitivamente il palcoscenico per avviare la globalizzazione che tutti noi conosciamo.
Tracciare questo sintetico excursus serve per ricordare che l’idea di sovranità è qualcosa di fortemente connaturato all’identità europea. I sostenitori del mondialismo che, con la puzza sotto il naso, collocano fuori dal tempo la reazione a questo processo – quasi fosse una barbarie – dovrebbero rifare i conti con il passato ancora pulsante del nostro continente. Oggi, il sovranismo è soprattutto una funzione. È l’argine contro le spinte globalizzatrici ed omologanti del divenire moderno. È il tentativo di recuperare quelle porzioni di potere nazionale maldestramente sacrificate sull’altare di entità extra-statali che svuotano di senso il naturale vivere comunitario. Per certi versi, il sovranismo è la versione più evoluta del nazionalismo novecentesco, in quanto conscio delle sfide dei tempi correnti, poichè se da un lato attribuisce alla ragion di Stato il peso che tale principio merita, dall’altro vede negli altri Stati non più un rivale da aggredire, ma un supporto per costruire una struttura geopolitica multipolare, che metta definitivamente in crisi e superi l’attuale modello a trazione occidentale.
Per quanto paradossale possa sembrare – poichè in antitesi con gli esiti più parossistici del succitato nazionalismo del “secolo breve” -, il sovranismo è, ad ora, il principale portabandiera della pace e della stabilità globali. Nei governanti che si ispirano a tale modello, infatti, non vi è alcun interesse nel sovvertire gli ordinamenti “altri”, nè imporre il proprio sistema di valori con assurde guerre “umanitarie”. Tutto quello che si richiede è il reciproco rispetto della sovranità ed una comune condivisione di tale prospettiva in ottica internazionale.
Le dichiarazioni del presidente Putin, in occasione dell’ottavo meeting dei paesi BRICS tenutosi il 15 e 16 ottobre scorsi a Goa, si muovono proprio in questa direzione. Durante l’incontro, volontariamente e colpevolmente ignorato dai media di regime, il leader russo ha ribadito la comune preferenza dei Cinque circa una risoluzione politico-diplomatica dei principali conflitti internazionali, rigettando qualsiasi forma di violazione della sovranità degli altri Stati. L’esatto opposto delle forze mondializzatrici. Interventisti infarciti di filantropia ipocrita e a fasi alterne (vedi la retorica sui diritti umani), sorretti da una ideologia feroce volta ad occidentalizzare e “democraticizzare” a tutti i costi il resto del globo, impegnati a raggiungere la pace tramite missili telecomandati da remoto, questi agenti patogeni schierati per il cancro chiamato New World Order stanno gettando nel caos più completo interi popoli, provocando una destabilizzazione del quadro geopolitico internazionale impressionante.
Sarebbe troppo facile individuare nei soli USA gli artefici di questo processo fintamente irreversibile. Di certo, la centrale degli sconquassi degli ultimi vent’anni si può collocare oltre oceano, ma è anche grazie al meccanico collaborazionismo dell’Europa che gli effetti di queste scosse stanno producendo i maggiori danni. Esattamente perchè la patria del principio sovrano – il nostro continente, appunto – ha rinunciato a seguire la propria, autonoma via nel solco di quella visione. Si è lasciata lentamente ed inesorabilmente divorare dal verme del servilismo e della dipendenza nel nome di una fedeltà occidentale che non lascia spazio alla libertà d’azione.
La conseguenza fondamentale di un tale approccio miope è la perdita di vista del ruolo ordinatore e stabilizzatore per il mondo intero di un’Europa finalmente sovrana. Se gli Stati nazionali indossassero gli occhiali della storia presente scorgerebbero i limiti del globalismo e la fine desolante a cui sono destinati i loro rispettivi popoli. È proprio casuale questo clima di costante escalation a cui assistiamo ormai quotidianamente? I venti di guerra che spirano dall’estremo occidente (perché è lì che non si accettano assetti diversi da quelli fino ad ora conosciuti) non sono il frutto di un sistema mondializzante ormai sclerotico?
Se oggi, dunque, è facilmente possibile individuare gli elementi eversivi, è altrettanto agevole indicare le giuste contromisure per porre rimedio al disordine. Il sovranismo può costituire il reale vettore per un nuovo assetto europeo (e conseguentemente mondiale). Un’impalcatura agile e funzionale dove gli Stati nazionali continentali riprendono la loro dignità ed operano in comune nel reciproco rispetto delle proprie esistenze. Rinunciano a porzioni di sovranità solo in vista di un progetto confederale finalizzato ad ottenere maggiore peso specifico nella sfide globali e non per soddisfare sogni distopici di unioni al sapore di soviet. Si liberano degli agenti internazionalisti in tutte le loro forme: Nato, ONG guidate da oscuri magnati, istituzioni finanziarie e politiche votate al depauperamento delle identità storiche, culturali ed economiche. Creano alleanze strategiche con paesi contigui (vedi la Russia) che possono offrire migliori prospettive di prosperità, non solo dal punto di vista economico.
Per conseguire tutto questo senza traumi non necessari serve uno scatto di coscienza, un moto interno di indipendenza e libertà. Chissà che un primo balzo in questa direzione non arrivi prossimamente, proprio da quel paese che con ogni energia ha corroso il principio altrui di sovranità…

CHIESA:”SU REGENI INFORMAZIONE GESTITA DA MANIGOLDI”

di Marcello D’Addabbo

“La Storia attraverso le Storie: passato, presente e scenari futuri dell’Europa”, questo il titolo dell’incontro promosso dal Liceo Linguistico “European language school” di Bitonto, nella splendida cornice del Teatro Traetta. Protagonista: Giulietto Chiesa, giornalista esperto di geopolitica internazionale e direttore di Pandora Tv. Una panoramica completa sugli scenari internazionali, economici e politici, la guerra in Siria, l’attuale crisi finanziaria, il terrorismo e il destino dell’informazione.

Giulietto Chiesa, il barbaro assassinio di Giulio Regeni è legato alle attività che lo stesso svolgeva al Cairo o si deve guardare ad un contesto internazionale più vasto interessato a rovinare i rapporti tra Italia ed Egitto?

Propendo per la seconda ipotesi, si tratta di un assassinio politico. Non credo alle tesi diffuse in questi giorni o ad una vicenda di carattere personale, lo hanno ammazzato perché serviva ad inquinare i rapporti con l’Egitto.

Cui prodest?

L’Egitto non piace ad una parte dell’Occidente perché si è schierato con la Russia e perché sta svolgendo un ruolo di riequilibrio tutto sommato positivo. Non sto dando un giudizio sulle qualità democratiche, parlo da osservatore politico. Penso che questo omicidio sia servito ad ottenere l’effetto che poi nei fatti si è realizzato, tutto il coro mediatico si è scagliato contro il dittatore Al Sisi.

Da chi è composto il coro?

Dagli stessi che strillavano contro il dittatore Saddam che non aveva le armi di distruzione di massa o contro Gheddafi che è stato letteralmente massacrato perché ostacolava gli interessi dell’Occidente, gli stessi che oggi urlano contro il dittatore Putin. Sulla mia pagina facebook ho postato questa riflessione, noi abbiamo avuto due assassini politici, quello di Vittorio Arrigoni e ora Giulio Regeni, nel primo caso tutti hanno taciuto perché era piuttosto evidente chi fosse il mandante o se non era evidente si poteva facilmente intravedere.

Anche perché geograficamente molto vicino al luogo del delitto…

Infatti. Un quadro evidente ma in quel caso non se ne poteva parlare. Nel caso di Regeni invece siamo di fronte ad una descrizione ridicola dell’accaduto perché prima di dichiarare la colpa di chiunque, se si vuole essere non dico garantisti ma almeno decentemente giornalisti, si aspettano i risultati delle indagini in corso e non si trasformano mere opinioni in titoli di giornali sparati sulle principali testate. Invece il modo di procedere è opposto: accusano, pubblicano senza verificare niente, poi quando vengono smentiti dai fatti non rettificano. Purtroppo gli organi di comunicazione in Italia sono in mano ad un gruppo di manigoldi che non si occupano mai di controllare quello che scrivono.

Tornando al quadro internazionale, dai colloqui di Monaco tra Kerry e Lavrov sembra raggiunto un accordo sul cessate il fuoco in Siria. La situazione ricorda un po’ la fine della guerra tra Iran e Iraq nel 1988 quando, ad un passo da una vittoria schiacciante su Saddam, l’Ayatollah Khomeyni fu indotto – come affermò pubblicamente – “ a bere l’amaro calice della tregua”. Putin berrà l’amaro calice ad un passo dalla liberazione di Aleppo?

La Russia non berrà nessun amaro calice perché sta vincendo. La tregua la vuole la Russia che infatti ha proposto il negoziato di Ginevra, i russi non sono in Siria per restarci ma per demolire Daesh e poi andarsene.

Nessun intervento di terra, quindi…

Non metteranno piede sul campo, questo posso dirlo con assoluta certezza, nei loro piani non c’è un solo soldato russo a combattere sul territorio né ci sarà in futuro.

E il confronto con l’Occidente?

La Russia ha interesse a che il conflitto siriano si concluda ed è ovvio che per raggiungere questo risultato bisogna realisticamente tenere conto delle forze in campo. Tuttavia “l’amaro calice” temo che dovrà berlo l’Occidente perché Bashar al-Assad rimarrà al potere in Siria. Pensare che Putin abbandoni la Siria ai piani di al-Qaeda e dell’Arabia Saudita è una pura illusione.

C’è stata da parte americana ed europea una sottovalutazione del potenziale militare messo in campo dalla Russia in questa crisi?

Non hanno capito che la Russia ha cambiato il quadro militare e politico del medio oriente. Sono rimasti letteralmente sconcertati dai 26 missili di precisione partiti dalla flotta russa nel Caspio e giunti dritti al bersaglio di Daesh attraversando due nazioni, Iran e Iraq. I servizi americani non si sono accorti che questa operazione è stata il frutto di mesi e mesi di preparazione in accordo con gli iraniani. Putin glielo ha dovuto spiegare. Se l’Occidente continua a credere o a fingere che la Russia sia un bluff si farà solo del male.

Negli Usa è in corso il consueto confronto mediatico delle primarie, una vittoria finale dei repubblicani cambierà i rapporti tra Stati Uniti e Russia?

Se la scelta è tra Hillary e Trump preferisco quest’ultimo. Perché Trump è un cialtrone mentre Hillary Clinton è una persona pericolosa. Concordo pienamente con ciò che ha dichiarato Julian Assange, con la Clinton alla Casa Bianca c’è la certezza di vedere nuove guerre, la più pericolosa in campo è certamente lei. Sanders è a mio avviso il candidato migliore. Per quanto i presidenti americani non contino nulla e in quel sistema conta soprattutto chi li paga, il ruolo della personalità nella storia esiste pertanto mi auguro davvero una sua vittoria. Se Sanders non dovesse farcela nel campo democratico meglio comunque Trump della Clinton.