di Gaetano Sebastiani
Dopo aver assistito alle celebrazioni nelle piazze di Atene ed ai patetici tentativi di identificazione con il clima festante di certa sinistra italiana (è sempre comodo salire sul carro del vincitore, no?), è tempo di capire se la vittoria di Syriza ha una funzione concreta nello scardinamento dello status quo.
Da un punto di vista meramente simbolico, questo voto produce senza dubbio qualche scalfittura al freddo edificio tecnocratico di Bruxelles. Le dichiarazioni rabbiose dei manichei dell’austerity sul rispetto dei patti o sulla non concessione di ulteriori deroghe al governo ellenico certificano che l’esito delle urne in Grecia, sebbene ampiamente previsto, non ha di certo suscitato l’entusiasmo degli eurocrati. E ricordano alle altre forze euroscettiche che indietro non si torna.Ma alcuni segnali provenienti proprio dal neonato governo a guida Syriza, inducono a pensare che forse ci sia qualche incomprensione tra quel popolo festante così desideroso di voltare pagina e le strategie di Tsipras. Incomprensioni che potrebbero avere una eco significativa su tutto il panorama politico continentale, se questa sorta di corto circuito tra base e dirigenza dovesse attivarsi. E qui, non si discute dell’alleanza con la destra euroscettica di Anel. In fondo, soprattutto noi italiani, siamo abituati ad alleanze tra forze politiche avverse (?). Solo che, mentre nel Belpaese i patti (più o meno segreti) hanno come scopo quello di resuscitare cadaveri e seguire pedissequamente le direttive dall’alto, in Grecia sinistra e destra si apparentano per cercare – quanto meno sulla carta – di sganciarsi dalle politiche depressive dell’eurozona.
Non è, dunque, la strana coppia Syriza-Greci Indipendenti il motivo di tanti dubbi. La causa di questa confusione va cercata, invece, nelle prime decisioni del leader greco circa gli uomini alla guida dei dicasteri nevralgici dell’esecutivo. Uomini che, nonostante l’appartenenza ad una formazione politica dai più considerata “radicale”, poco sembrano avere delle qualità di questo aggettivo. Il ministro dell’economia George Stathakis, ad esempio, nei mesi scorsi – quando Syriza era già considerata da tutto l’establishment politico-economico la prima forza in Grecia – ha effettuato un viaggio a Londra per assicurare l’élite finanziaria che con il suo partito al potere non vi sarebbe stato alcun ritorno alla dracma. Sulla stessa linea, il ministro delle finanze Yannis Varoufakis che si definisce “comunista”, ma è disposto a trattare con le istituzioni europee per la riduzione del debito. Ovviamente, senza mettere in discussione la moneta unica. A coordinare i due esponenti appena citati ci sarà Yannis Dragasakis, membro storico del partito ed anch’egli convinto che, dalla crisi profonda in cui versa la Grecia, si possa uscire attraverso la negoziazione. Ed infine, sembra che lo stesso Tsipras non disdegni la frequentazione di entità globaliste. Insomma, comunisti, ma non troppo.
Si obbietterà che, a fronte di cotanta strategia, mai Tsipras avesse espresso l’intenzione di traghettare la Grecia verso un futuro migliore uscendo dall’euro. Ma è anche vero che non si possono fare proclami di svolta, campagne elettorali basate sul cambiamento, non si può entusiasmare la popolazione disperata dichiarando che “la Troika è finita” ed allo stesso tempo dialogare con quelle stesse forze che si vogliono così intensamente combattere. Non si possono inviare i propri uomini fidati a rassicurare certi ambienti della finanza, addirittura prima ancora di prendere il potere. Sembra di vedere Renzi (al quale Tsipras non casualmente si è richiamato) andare con il cappello in mano dalla Merkel ad elemosinare più tolleranza per la nostra economia e spacciare questo incontro come una prova di forza. O, se si preferisce, visto che siamo in Grecia, è come vedere i 300 spartani andare a combattere i persiani con i fiori in mano, piuttosto che con le spade.
Si potrà contestare, inoltre, che non è possibile giudicare l’azione di un governo appena nato basandosi solo sui nomi dei componenti, o peggio, sulle loro conoscenze, incontri, frequentazioni (in senso meramente politico). Ma ancora una volta, l’esperienza italiana docet: avevamo davvero bisogno di sperimentare mesi di agonia in cui il nostro “caro” ex Presidente della Repubblica ci ha cacciati, per capire che il signor Monti ci avrebbe propinato le ricette dogmatiche dell’eurocrazia? Non era sufficiente scorrere il suo CV e verificare le istituzioni globaliste di cui faceva parte, i circoli mondialisti che amabilmente frequentava? Vi risparmiamo, per questioni di ovvietà, gli esempi successivi a questa illuminata esperienza…
La lotta per il riscatto popolare contro gli affamatori di Bruxelles dovrebbe essere condotta da forze politiche sinceramente sovraniste, slegate da certi mondi e lontani anni luce da certe figure impegnate quotidianamente nell’affermazione del Nuovo Ordine Mondiale. Non è una questione di utopica “purezza” della causa, ma solo di presupposti minimi per raggiungere lo scopo. Ebbene, queste caratteristiche non possiamo attribuirle a Syriza. Non con questo spirito sta muovendo i primi passi il neonato esecutivo ellenico.
Per rispondere alla domanda dell’incipit, forse nel prossimo futuro, la vittoria di Tsipras servirà a far acquisire un ulteriore grado di coscienza all’opinione pubblica europea. E cioè la consapevolezza che, spesso, alcuni personaggi eretti a novelli capi-popolo sono solo il cavallo di Troia del potere dominante, la maschera pulita dietro la quale si cela il volto beffardo dei soliti (ig)noti. Ed i primi a farne le spese, probabilmente, saranno i poveri greci, i cui sogni di emancipazione dall’austerità e dalla crisi potrebbero presto trasformarsi nell’incubo di una politica sempre uguale a se stessa.