SPOT RAI SULL’EUROPA. “Per influenzare, non per informare”

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Cittadini, elettori, telespettatori! Ve ne siete accorti? Puntuali, a poche settimane dalle elezioni, si intrufolano tra i vostri programmi Rai preferiti alcuni spot sull’Europa. Una rassicurante voce fuori campo sciorina tutti i vantaggi che i popoli del continente hanno ricevuto da quando il cammino comunitario ha mosso i primi passi e quanto le sue istituzioni si siano impegnate per introdurvi ad un’epoca di infinito progresso e prosperità.

Tra inni alla gioia ed immagini drammatiche ed evocative, Mamma Rai ci ricorda che l’Europa è la prima vera grande oasi di democrazia che i suoi cittadini abbiano mai conosciuto. Senza di essa ed il suo indefesso lavoro di sottrazione di sovranità, saremmo ancora sotto il giogo degli Stati nazionali. Lampanti esempi di alta democrazia europea sono, infatti, la Commissione o la Bce, espressione purissima della volontà popolare.

Nei filmati si parla anche di pace. Dalla fine della seconda guerra mondiale, grazie allo sforzo gandhiano dei padri fondatori, il nostro continente ha gettato definitivamente nell’oblio l’idea della guerra. Sia dentro i confini – ma soprattutto all’esterno – di conflitti non ne sentiamo più parlare… Tranne quando i nostri alleati americani ci chiedono una mano nell’esportazione della democrazia nel resto del mondo. Ma si sa, difendere la libertà, anche senza alcuna richiesta d’aiuto, è un preciso dovere delle istituzioni comunitarie.

La voce narrante ci fa capire che l’Europa non è solo retorica su valori astratti, ma rappresenta l’accesso ad irrinunciabili vantaggi pratici. La moneta unica, ad esempio, che ci ha liberato dall’insopportabile perdita di tempo del cambio tra le vecchie valute nazionali (ostacolo insormontabile per la crescita del turismo…) e ci ha reso più ricchi all’interno e competitivi a livello globale. Basta guardare i cittadini greci: sono i più accaniti sostenitori del nuovo conio e agli occhi del mondo rappresentano il fiore all’occhiello delle lungimiranti politiche economiche della Troika.

Negli spot non potevano essere dimenticate le grandi battaglie di civiltà quali quella per ridurre le tariffe telefoniche e gli sforzi sovrumani delle istituzioni comunitarie per la sicurezza alimentare: un vero peccato, però, aver omesso (sicuramente in buona fede!) di pubblicizzare i contenuti del venturo Trattato Transatlantico di Libero Scambio. Avremmo capito meglio come l’Europa vuol difendere le nostre tavole!

Un’attenzione particolare è dedicata ai giovani: il progetto Erasmus ha contribuito a sfornare generazioni di veri europei. I ragazzi che saltellano da un’università all’altra del continente (possibilmente trovando scorciatoie per gli esami più ostici), secondo lo spot sono forse i primi a sentirsi “prima europei e poi italiani, francesi, tedeschi…”. E con l’iniziativa “Erasmus più”, il vorticoso turbinare di giovani virgulti si estenderà anche al mondo del lavoro, abituando sempre più le future generazioni al nomadismo… ops! scusate, si dice: a diventare a cittadini del mondo!

Ma non indugiate, cari telespettatori: se pensate che tali spot per niente enfatici e partigiani siano stati creati per soddisfare particolari esigenze di distrazione di massa in periodo elettorale vi sbagliate di grosso! Siete i soliti complottisti! Essi sono solo il frutto di una nobile volontà di informazione. Al termine di ogni filmato, infatti, la Rai scrive a chiare lettere: “Per informare, non per influenzare”. Certo! E chi mai, dopo aver visto e rivisto queste reclame asettiche ed oggettive, potrebbe mai partorire pensieri così dietrologici?.. E’ vero, “di Europa si deve parlare”, ma se lo si facesse in maniera corretta, ben altri sarebbero i contenuti sponsorizzati.

*A cura di Gaetano Sebastiani

Tra mondialisti e westfaliani, aspettando l’Europa

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Non sappiamo se in Cina, sui banchi di scuola, si studi la Pace di Westfalia del 1648, quella che pose termine alla guerra dei Trent’anni e inaugurò un nuovo ordine internazionale, basato sul mutuo riconoscimento fra stati sovrani. Eppure si dovrebbe perché proprio quel principio, lì sancito, potrebbe essere posto alla base di una eventuale alleanza fra tutti i paesi non allineati sul fronte dell’egemonia americana. All’opposto dell’accordo westfaliano, infatti, c’è l’idea mondialista, ‘wilsoniana’, di un ordine globale imperniato su libertà mercantili e diritti (leggi ‘sradicamento dell’uomo’), con gli Stati Uniti nel ruolo, più esteriore, di arbitri e giudici, a tutto campo, delle altrui vite e vicende.

Inutile dilungarsi sulla parzialità del controllore e sulla discrezionalità dei giudizi, ormai nota a tutti. Più interessante è ragionare sulla contrapposizione dei modelli. Perché se il secondo è il frutto di una strategia elaborata e pianificata, l’approdo, ormai declinante, di una lunga rincorsa, il primo è (ri)sorto spontaneo con il risveglio della Russia dopo le nebbie alcoliche dell’era Eltsin. Avendone rilanciato il ruolo di potenza che pretende per sé, e i propri alleati, la necessaria libertà di manovra, Putin si è ritrovato ad essere, come giustamente è stato scritto, “il garante di Westfalia”. Cioè colui che esige ed afferma il principio di “sovranità” in un contesto in cui, invece, si pretende che ogni passo sia conforme alle pretese dei molteplici attori del mondialismo. E, quando così non è, bruciano le polveri della “guerra per interposta persona”, con ribelli armati, fondamentalisti religiosi, femministe a seno nudo, blogger prezzolati, attivisti di ogni sorta e intellettuali di tutte le risme convocati, in gran fretta, per fare in modo che l’eretico di turno sia rovesciato immediatamente fra gli applausi del mondo.

Fin qui è storia nota. Ciò che inizia a rendersi evidente è che il principio di sovranità non è più una pretesa esclusivamente russa. Rimasta apparentemente ai margini di ogni contesa, anche la Cina è posizionata sugli stessi orientamenti e la crisi ucraina sta avendo l’effetto di spingere Mosca ad abbracciare Pechino, riconoscendo nel vicino di casa un interlocutore “di fatto”. In realtà, Russia e Cina – diversamente da quanto molti immaginano – non sono alleati naturali: a dividerli, fra le altre questioni, c’è il gigantesco problema della “Siberia cinese” cioè dell’invasione mandarina in una terra liminare, ricca di risorse, in cui, fra qualche tempo, non si parlerà quasi più russo. Ma questa sarà questione di domani. Oggi bisogna fermare Washington e tutti i marionettisti nascosti nell’ampio cilindro dello Zio Sam. E quindi via con le grandi manovre di avvicinamento, con la prima trasferta da presidente di Xi Jinping proprio a Mosca, e con la conta dei futuri nuovi sodali: India, Brasile, Sudafrica, Messico, Nigeria, Indonesia. “Sebbene tali potenze emergenti – scrive su Limes Eva Hulsman Knoll – non abbiano quasi nulla in comune, esse condividono un forte spirito nazionalistico e percepiscono l’attuale ordine internazionale come funzionale agli interessi delle ex potenze occidentali”. E, quindi, tutti dentro.

Ora, sebbene possa essere naturale entusiasmarsi per questo inedito fronte in rivolta, è bene considerare tre cose. La prima è che questi paesi propongono un modello esattamente identico a quello americano, solo colorato in altro modo. La nuova gioventù metropolitana di Pechino che mangia pollo fritto, beve Coca-Cola, veste all’occidentale, siede nei cda delle grandi imprese e specula in borsa, forse non prenderà ordini dai Rothschild, ma non offre una alternativa migliore. Si distingue solo la Russia, come testimoniato dal notevole discorso di Putin al Club Valdai, ma il resto è noia crepuscolare da cui tenersi alla larga. La seconda è che la presenza di un nemico, uguale e contrario, potrebbe essere, per il fronte mondialista, perfino un regalo della Provvidenza nella misura in cui un avversario, che non contesta il ‘sistema’ ma solo i rapporti di forza all’interno dello stesso, risolve in definitiva un bel po’ di guai consentendo di rilanciare il gioco oltre la sua fisiologica estinzione.

La terza osservazione, la più importante, è che rispolverare il mito di Westfalia non è la risposta a tutto questo: il nazionalismo rancoroso ed isolazionista, che si accartoccia in cortile e vive per difendere due gocce di petrolio trovate in cantina, è la mortificazione di ciò che può condurre alla edificazione di una Civiltà, in nulla debitrice a quella vigente e orientata su principi altri. La Russia, incapace storicamente di proiettarsi al di fuori dei confini della Federazione, non riuscirà a costruire l’alternativa nonostante la felice marcia del suo leader. Per questo serve che si risvegli l’Europa. Dispiace per chi ha già il colbacco in testa, ma i cosacchi non verranno a salvarci.

La cena delle beffe

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C’è un leggenda che si aggira per il continente. E suona più o meno così: in virtù delle disposizioni del Trattato di Lisbona, il futuro Presidente della Commissione Europea sarà espressione della coalizione vincitrice nel turno elettorale di maggio. Dunque, tutte le principali liste hanno indicato un candidato: i demo-prog puntano sul tedesco Schulz, la sinistra radicale (sic) sul greco Tsipras, i popolari sul lussemburghese Juncker. I sovranisti dell’Alleanza Europea per la Libertà (Eaf), che inizialmente sembravano decisi, come logico, ad affidare a Marine Le Pen la testa della propria armata, hanno invece operato una scelta diversa. Nessun leader è stato indicato perché, quella dell’elezione democratica e diretta del Presidente della Commissione Europea, sarebbe in realtà solo una farsa.
Così ha motivato la decisione l’austriaco Franz Obermayr della FPÖ: “Noi non vogliamo indurre gli elettori in errore, ovvero non vogliamo far credere che sia possibile eleggere un presidente della Commissione. Non c’è alcuna garanzia che il Consiglio europeo selezionerà il vincitore”. È vero? Sembrerebbe proprio di sì. Ecco cosa si legge nel Trattato di Lisbona (Titolo III, articolo 9 D, paragrafo 7): “Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono. Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura”.
Chiaro? Quella del Parlamento è soltanto una indicazione. Sarà il Consiglio Europeo, cioè quello che raccoglie i capi di Stato dei diversi paesi, richiamati all’ordine dal presidente Herman Van Rompuy, a tirar fuori il nome dal cilindro dopo le “consultazioni appropriate” con Mario Draghi et similia. E non è un esercizio di immaginazione troppo azzardato ritenere che i vari Renzi, Merkel e Hollande, innanzi a una vittoria del fronte sovranista e in nome del “sogno europeo”, possano varare le “larghe intese” e indicare al Parlamento uno fra Schulz e Juncker. Intimando a democratici e popolari di votare compattamente il prescelto, e costringendo così chiunque altro all’impotenza.
È uno schema che ben conosciamo e vediamo consolidarsi da anni nei singoli paesi. Questa volta però la morsa non sarà stretta in qualche stanza dei bottoni, ma con giovialità nel corso di una cena convocata da Van Rompuy per il 27 maggio, due giorni dopo il voto. Gozzovigliando e brindando, il Consiglio Europeo indicherà la strada. Che, poi, è sempre la solita. Vi eravate davvero illusi di poter decidere qualcosa?

Ps. Tutto ciò non toglie che sia stato un tragico errore, da parte dell’Eaf, non indicare Marine Le Pen come leader della coalizione. Più che a un senso di giustizia e trasparenza, l’origine della decisione pare ascrivibile alla solita bega da pollaio che avrebbe spinto austriaci ed olandesi, che non si riconoscono del tutto nelle posizioni del Front National, a fare saltare l’operazione. Peccato. Perché i consensi che la Le Pen raccoglie in tutta Europa sono notevoli e il caso-Italia lo dimostra. Se ai nastri di partenza pochissimi voterebbero la Lega, unico partito “italiano” in coalizione (i Fratellini d’Italia non si sono ancora desti), tantissimi si turerebbero volentieri il naso pur di incoronare Marine. Ci risiamo. Ecco a voi i soliti errori di un mondo che non sa vincere.

*Pubblicato su barbadillo.it