É SOLO L’INIZIO

elezioni_italiaC’è una immagine della campagna elettorale che vale la pena evocare per prima: è quella di Bersani che apre al banchiere Monti dalla Germania fra gli applausi della Merkel. La sconfitta “reale” della sinistra è tutta qui. Le alte con-cause contano poco. Dalle parti del Pd non si riesce a comprendere una verità lapalissiana e cioè che la doppiezza non paga mai, nemmeno quando si ha a che fare con un popolo mandriano e ignorante (ma non stupido) come quello italiano: non ci si può presentare come il partito dell’ “Italia Bene Comune” e poi occhieggiare a banchieri, burocrati e lobbisti di ogni tipo. Non ci si può qualificare come l’armata dall’intatta morale e poi lucrare sul Monte Paschi o andare a pranzo con i giudici che, tempo dopo, ti assolveranno. Non funziona così.

Le privatizzazioni selvagge, la guerra in Jugoslavia, l’ingresso nell’Euro, la parificazione di scuola pubblica e privata, l’introduzione del precariato con il Pacchetto Treu, il sostegno ai conflitti americani, la promozione in ruoli chiave dei Goldman Sachs Prodi e Padoa Schioppa, l’appoggio incondizionato a Monti e la programmazione di future alleanze col bocconiano. Questo è quanto ha fatto la sinistra negli ultimi vent’anni e ciò sarebbe perfino legittimo, seppur mostruoso, se i democratici non avessero contemporaneamente tentato di abbracciare anche l’artigiano emiliano, il disoccupato calabrese, l’operaio piemontese. Per baciarli teneramente, come Giuda. Bersani correva in solitaria, davanti a tutti, ma con l’endorsement di Goldman Sachs (in un report di settembre) e le interviste al “Financial Times”. E la gente ha capito che con lui (e Monti) saremmo morti di austerità per salvare Euro e creditori. Non casualmente la scoppola più forte l’ha presa Nichi Vendola che, teoricamente, avrebbe praterie a disposizione per canalizzare la disperazione collettiva in una rivolta di popolo. Ma la sua sinistra “americana”, tutta diritti&ambiente, ha lo stesso vizio della sorella maggiore: si dice “europeista” e non sfida il potere. Al contrario, lo rassicura, rendendo così manifesta la propria inutilità. Infatti l’elettorato si è ammutinato e ha votato il comico.

Alla fine, diciamola tutta: dal crollo del Muro la gauche italica è sempre stata la testa di ponte di qualunque potentato straniero abbia desiderato passeggiare sulla nostra pelle. Affermava Spengler: “La sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo”. E non c’è verità più grande. Ora si parla di un ribaltone ai vertici e di un ritorno trionfale di Matteo Renzi che guiderà gli eserciti rossi sotto le insegne candide del rinnovamento. Ovviamente, si sono tutti già dimenticati che il sindaco di Firenze è quello che si accompagnava ai finanzieri anglo-italiani con i conti alle Cayman: un altro servo del capitale, come sopra. Cambiare tutto per non cambiare nulla. E perdere di nuovo o essere cacciati a pedate dopo due anni di austerità bancaria.

Nessuna meraviglia, quindi, se la gente si è turata il naso e ha ri-votato Berlusconi. Il PDL non esiste più, completamente bruciato da un triennio di assoluto sbandamento. Rimangono in piedi la verve mediatica del capo, le sue mirabolanti promesse (ipocrite ma sensate) e i ras di quartiere capaci ancora di rastrellare voti, soprattutto nel Mezzogiorno. Un po’ poco per sfiorare la vittoria, si dirà. Ma quando il Cavaliere va in Europa i burocrati lo insultano e, se vince, i mercati disapprovano. Per gli elettori inferociti – quelli cioè che uscirebbero dall’Euro e impiccherebbero i banchieri, ormai maggioritari in Italia – non esiste garanzia migliore. Berlusconi si è fatto forte dei fischi, al contrario di Bersani, ucciso dagli applausi finanziari che hanno svelato l’oscena connivenza con l’europotere.

E Grillo? Il vero vincitore della tornata andrebbe ringraziato per un sostanziale motivo. Ha sfondato il muro bipolare, polverizzandolo. Ora gli italiani sanno che c’è e ci sarà spazio per altro e non sono condannati a vita a dover scegliere fra la sinistra bancaria e la destra berlusconiana. Si è aperto un varco e bisognerà attendere che da lì passi qualcosa di serio perché i 5 Stelle, al di là della egregia funzione arietina, non possono garantire nulla. Sono un partito inesistente sul territorio, innamorato della virtualità, pieno zeppo di laureati in informatica (garanzia assoluta di idiozia), liquido proprio come il mondo che vorrebbero cambiare. Non è dato sapere se sapranno resistere alle sirene mediatiche, economiche, politiche che giungeranno da ogni parte, ma non è questo il punto: sono comunque, presto o tardi, destinati a dissolversi perché la loro funzione è semplicemente quella di far saltare un vecchio schema.

Dunque, fatto il loro, è bene che si tolgano dai piedi perché qui non c’è più tempo. La sfida, ora, si consuma fra mondialisti e sovranisti. E il voto italiano, con i successi di Grillo e Berlusconi, è lì a dimostrarlo con la postilla che i due trionfatori sono solo la pallida, contraddittoria, grottesca e ilare ombra di ciò che dovrà essere: una élite che ci porti fuori dal controllo dell’Europa, della Nato, dei mercati, delle lobbies transnazionali, del capitalismo finanziario decaduto. E restituisca l’Italia a se stessa.

Ps. Un paio di lettori mi hanno rimproverato di non aver scritto nulla sul flop di Scelta Civica, la lista di Monti. Avendo ampiamente ragionato sul fallimento dell’imitatore (Bersani) mi sembrava inutile perder tempo con l’originale (Monti). In realtà era tutto già scritto. Dopo qualche mese da sacerdote dell’economia, salvatore della Patria e punitore degli evasori di Cortina, il bocconiano Euro-Trilateral-Bilderberg ha gettato via la maschera, pardòn il loden, ed anche i più sprovveduti hanno potuto vederlo in faccia. “E’ il premier più amato dai…tedeschi!” ha ironizzato (perfino) la comica Geppi Cucciari che un anno prima non si sarebbe mai permessa di dileggiare l’uomo della Provvidenza. Il povero Casini si è dovuto precipitare varie volte in televisione per rassicurare gli italiani: “Desideriamo agire nell’interesse nazionale!”. Ma a tutti era ormai chiaro il contrario. La cura Monti si è concretata, semplicemente, in una massiccia aggressione, via tasse, alle uniche risorse degli italiani: il risparmio e i beni immobili. Una spremitura di sangue per ripagare i creditori e salvare l’Euro germanico a prezzo di una desertificazione totale dell’economia reale e del benessere collettivo. Il voto l’ha stroncato, come ovvio, trascinando nel fango i suoi patetici sodali: Casini e, soprattutto, Fini che dopo aver distrutto qualunque cosa toccasse (al contrario di re Mida) ha finito – in mancanza d’altro – per disintegrare anche se stesso. Finalmente. 

QUEI CINQUE AMERICAN BOYS del pensiero unico

Non una premessa, ma una precisazione: per ‘contenuti’ in politica si intende, o si dovrebbe intendere, non la riforma di qualche leggina e nemmeno una mezza idea riciclata da qualche libro di sociologia. Bensì i pilastri di una visione del mondo. Possibilmente alternativa a quella dei poteri dominanti.

Se avessero parlato in inglese avremmo avuto la certezza di essere negli States. Nel confronto fra i candidati alle primarie del centosinistra si è realizzata la definitiva rivoluzione copernicana che tanto profuma di America: non conta quello che dici, ma come te la giochi.

Non casualmente, meglio di tutti se l’è cavata il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, leader in stile Mediaset addestrato da Giogio Gori: look obamiano, aria telegenica e sbarazzina, slogan incisivi, frasi formato sms. È stato il primo a chiedere il diritto di replica e l’unico a capire realmente cosa stesse succedendo. Gli altri, invece, hanno faticato e non poco. Nichi Vendola non è riuscito a stare nei tempi stabiliti nemmeno una volta, è stato richiamato ufficialmente per la sua lungaggine, cercava con insistenza un interlocutore fisico, sudava vistosamente ed invocava la necessità di premesse e ragionamenti, sacrosanti nella vita reale, meno negli studi di “X-Factor”. Per di più ha “steccato” il riferimento ideale citando il Cardinal Martini (tutti si aspettavano Pasolini o Berlinguer) in barba ad una platea che di Vaticano non vorrebbe nemmeno sentir parlare. Bersani, invece, si è mosso sul terreno della sincerità: non ha volutamente assoldato guru né snaturato la propria prosa da moviola, ma esattamente in virtù di questo è risultato più autentico dei suoi avversari sebbene deprimente nella cronica incapacità di incendiare gli animi. Laura Puppato merita un ragionamento a parte: l’essere donna si è rivelato l’unico motivo della sua presenza, totalmente velleitaria ed inutile. A dimostrare la vuotezza della retorica di genere ha provveduto il conduttore Gianluca Semprini, saltandola a piè pari durante un turno di domande. Infine Bruno Tabacci, ex democristiano senza possibilità di vittoria, per sua stessa ammissione “montiamo da prima di Monti”, decisissimo a portare il Professore al Quirinale e messo lì a ricordare che non ci sono spazi per eventuali rivoluzioni.

Il problema, ovviamente, non si è nemmeno posto: nelle camere del centrosinistra l’aria è stantia in modo quasi insopportabile, il pensiero è innocuo e la prospettiva omologata. L’Imu va via, al limite, solo sulla prima casa, l’Europa è un totem inviolabile e l’euro un feticcio da adorare e proteggere. Concetti, questi, ribaditi quasi ossessivamente. Gli unici sussulti si sprecano sui tagli alla casta, sui diritti delle coppie omosessuali, sulla quantità di ministeri degli eventuali governi e sul numero di donne da arruolare negli stessi. Metà pantaloni e metà gonne è la frontiera più audace del progresso politico, l’ultima sfida – ci dicono – al limite dell’irrealizzabile: in realtà basterebbero, senza “quote” di alcun tipo, persone competenti e non asservite ai poteri finanziari. Ma questo sì, è davvero impossibile.

Tirando le somme, i Fantastici Cinque, Vendola in testa, hanno smitragliato una pletora di dichiarazioni trionfanti a distanza di sicurezza dai temi realmente caldi: i meccanismi di creazione del debito, la possibilità di un suo ripudio, la perdita della sovranità monetaria, la dittatura della Troika, il problema energetico, le guerre presenti e future. E se si somma il nulla prodotto all’insopportabile americanata del format adoperato, vien forse da avvertire gli spettatori: giovedì, da quello stesso studio, torneranno a trasmettere “X-Factor”. Attenzione, potreste essere tramortiti dall’esponenziale aumento del livello dei contenuti.

*pubblicato su barbadillo.it