QUESTA PROTESTA E’ VERA…MA E’ ANCHE FALSA.

di Marcello D’Addabbo

La riforma

Da settimane migliaia di francesi in diverse città protestano contro la riforma del lavoro voluta dalla ministra Myriam El Khomri. Facilitare i licenziamenti, ridurre i ricorsi davanti al giudice, aumentare la flessibilità del mercato del lavoro, anche la Francia, dunque, si appresta a varare la sua riforma del Codice del lavoro: in Italia c’è chi l’ha già ribattezzata il “Jobs act alla francese”, a causa dei diversi punti di contatto con la legge targata Matteo Renzi e Giuliano Poletti. Il progetto di legge francese amplia il ventaglio di causali per giustificare i licenziamenti di tipo economico: si parla di momenti di difficoltà come un calo degli ordini o vendite per diversi trimestri consecutivi e perdite di esercizio per diversi mesi, ma anche di trasferimenti di tecnologia o riorganizzazione aziendale necessaria per salvaguardare la sua competitività. Inoltre, in caso di licenziamento illegittimo, se finora l’importo dell’indennità era deciso in autonomia dal giudice, a partire dai sei mesi di stipendio e senza un tetto massimo, ora la legge intende porre dei limiti sia alla discrezione dei magistrati sia all’ammontare dell’assegno: le indennità andranno da tre a quindici mensilità, in base all’anzianità di servizio del lavoratore. L’obiettivo dichiarato è di togliere spazi di incertezza interpretativa nel codice del lavoro, che dà molto potere al giudice di decidere se un licenziamento è legittimo o meno. Ma l’idea di fondo è di rendere il licenziamento meno costoso per l’azienda.
Inoltre, la riforma francese spingerà l’acceleratore sulla contrattazione di secondo livello, aziendale e individuale. Se oggi un dipendente non può lavorare più di 10 ore al giorno, con la contrattazione collettiva potranno arrivare a dodici. E se la settimana media segue il modello delle 35 ore medie, con un massimo di 48, dopo la riforma si potrà arrivare fino a un massimo di 60, in casi eccezionali. Cambierà anche il regime degli straordinari. Rimane il minimo del 10% di retribuzione in più, ma gli imprenditori avranno maggiore libertà ad abbassare l’importo fino a questa soglia, sempre attraverso accordi sindacali.
Insomma questa riforma sembra rientrare perfettamente nel grande ciclo di rapida e costante demolizione dei diritti sociali inaugurato a partire dalla fine della guerra fredda: le liberal democrazie occidentali liberate una volta per tutte dal “Moloch sovietico” con l’ipoteca morale da questo esercitata sulla questione sociale nonché dal pericolo di una borghesia sedotta dal marxismo e votante in massa per i comunisti, possono finalmente permettersi di avere la mano libera e far tornare i popoli alla schiavitù di fine ottocento, quando i padroni agivano indisturbati e privi di opposizione sociale. La sinistra in tutta Europa ha coperto questo enorme tradimento dei lavoratori, sostituendo abilmente i diritti sociali con quelli civili. Insomma mentre il grande capitale realizza il suo golpe legislativo strisciante il governo di sinistra in carica compie il delitto perfetto, distrae le masse agitando il “grande scontro campale delle nozze gay”, la battaglia di civiltà per eccellenza. Un gioco di prestigio finalizzato a consentire alle grandi corporations il licenziamento libero, orari flessibili e il passaggio dalla contrattazione collettiva a quella di secondo livello, aziendale – non ci vuole molto ad influenzare il sindacalistello locale, ricattabile o comprabile con qualche gratifica economica o avanzamento di carriera mentre il problema del confronto tra le parti sorge quando l’opposizione sociale si organizza su base collettiva nazionale e il lavoratore cessa di essere il contraente debole.

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Veniamo alla protesta

A prima vista sembra che la Francia non ci stia proprio a farsi scippare i diritti sociali da un finto governo di sinistra amico del giaguaro. Al contrario dei pecoroni italiani, con la Cgil timida e miagolante quando a governare a Roma c’è la sinistra, i cugini d’oltralpe sono scesi in piazza in 60 mila a Parigi, tra lavoratori disoccupati e studenti, scontrandosi aspramente con le forze dell’ordine, riunendosi quotidianamente la sera a place de la Republique e restando lì fino ad oltre le 3 del mattino, riuniti in “assemblee generali” che riecheggiano le più note in voga negli anni ‘60 del novecento, motivo per cui il movimento ha deciso di chiamarsi “Notte in piedi”. In due mesi di vita questa mobilitazione permanente si è estesa rapidamente da Parigi in oltre 60 città francesi, scontri in piazza a Lione, Nantes, Marsiglia e Rennes. Nella capitale si è vista la Tour Eiffel chiusa per tutto il giorno, scuole occupate, metropolitane a singhiozzo e 650 chilometri di coda lungo tutta la Francia: come nei normali giorni di esodo festivo. Finora i fermati dalla polizia sono circa 2.000 e 78 i poliziotti feriti, alcuni gravemente. Sembra una protesta colossale ed è troppo forte la tentazione di cedere all’entusiasmo e credere che finalmente un popolo europeo si sia svegliato spontaneamente dal sonno dogmatico dei media e del finto benessere per affrontare a viso aperto il grande nemico, le oligarchie finanziarie e il loro maggiordomo Hollande, riscattando così la dignità di un intero continente.
Ma è troppo facile in questi tempi così difficili. Il trucco c’è e per fortuna è stato già svelato.

Dietro la protesta i manovratori

Premessa necessaria: qualsiasi informazione rivelante la natura pilotata del movimento “Nuit Debout” non mette in alcun modo in discussione l’onestà degli studenti, disoccupati e lavoratori che vi partecipano in buona fede e sincero spirito di contestazione al sistema. Premesso ciò, il primo elemento di sospetto è l’atteggiamento accondiscendente, in alcuni casi addirittura svenevole assunto dalla stampa parigina verso il movimento, Le Monde in testa. Ora Le Monde è l’organo dell’intellighenzia radical progressista, secondo molti vicino alla massoneria del Grande Oriente di Francia e si guarderebbe bene dal prestare il fianco a movimenti di contestazione in grado di minacciare seriamente il sistema. Se un movimento di protesta anti sistema in Italia fosse appoggiato da La Repubblica, Stampa e Corriere, dietro cui ci sono De Benedetti, Elkan e Bazoli, solo per citarne alcuni, non insospettirebbe? Inoltre questo movimento “spontaneo” si è organizzato in pochi giorni. Ora ha due siti web, radio e web TV. Secondo Thierry Meyssan, solitamente molto ben informato sulla natura occulta di certi movimenti di piazza, la radio del movimento è “discretamente sostenuta dall’Unione Europea”. Uno strano silenzio e sottovalutazione è venuto dalle tv francesi e anche dall’Eliseo. Ciò nonostante giorni e notti di devastazioni, incendi di auto e il solito sfascio di vetrine di negozi e sportelli bancari. Un film già visto al G8 di Genova nel 2001. Ed esattamente allo stesso modo in questi giorni in Francia oltre ai manifestanti pacifici, arrabbiati ma contenuti, c’erano i gruppetti dei soliti “incappucciati neri”, devastatori materiali e morali dei cortei, armati di molotov, mazze e catene, pronti a dare fuoco ad auto ferme e a provocare direttamente la polizia che però, curiosamente, non li becca mai e arresta e picchia i manifestanti buoni dopo la provocazione. Lo schema Genova è consolidato: i Black Bloc prendono il controllo della protesta, la fanno degenerare e la polizia carica i manifestanti buoni, portandoli anche alla scuola Diaz per fargli passare la voglia di giocare alla rivoluzione. Del blocco nero nessuna traccia però, dileguati come Batman. I più attenti intravedono nell’azione la preparazione e lucidità da reparti speciali addestrati al compito, ma non lo diciamo ad alta voce.
Tornando a Nuit Debout interessante leggere l’appello redatto dal collettivo “Convergenza di Lotte”: “Questo movimento non è nato e non muore a Parigi. Dalla primavera araba al movimento del 15 maggio (Indignados spagnoli ndr), da piazza Tahrir a parco Gezi, a Piazza della Repubblica e molti altri luoghi in Francia, occupati stasera, illustrano stessa rabbia, stesse speranze e stessa convinzione: la necessità di una nuova società, dove democrazia, dignità e libertà non siano vacue affermazioni”. Come ricorda Meyssan, i riferimenti elencati nell’appello indicano solo movimenti chiaramente supportati, se non avviati, dalla CIA. Porsi in continuità con essi significa portare la firma di Gene Sharp, lo specialista soprannominato “il Clausewitz della guerra nonviolenta”. I movimenti studenteschi e popolari che hanno condotto le Rivoluzioni colorate negli stati indipendenti un tempo parte dell’Unione Sovietica, che hanno rovesciato pacificamente (ma non troppo) i governi in carica sostituendoli con nuovi governi più filo-occidentali si sono ispirati proprio ai manuali e alla consulenza del fondatore, nel 1983, dell’Albert Einstein Institute per «lo studio e l’utilizzo della nonviolenza nei conflitti di tutto il mondo». Per questo motivo le teorie di Sharp sono state recepite dal Dipartimento di Stato americano per essere utilizzate su vasta scala al fine di favorire gli interessi degli Usa, sostenendo i movimenti pacifisti e non violenti, contro governi marcatamente anti-occidentali. Metodi usati in Serbia nel 2000 dal movimento “Otpor” (resistenza) per rovesciare Milosevic, dall’”Onda Verde” degli studenti di Teheran contro l’odiato presidente Ahmadinejad, dai “Popoli Viola” che sbucano in ogni angolo del pianeta con tanti dollari in mano (di Soros) ed esperti Cia della controguerriglia pronti a mettere a ferro e fuoco una nazione ostile (Ucraina e Georgia sono esperimenti ben riusciti, in questi giorni stanno provando anche con la piccola Macedonia filo-putiniana).

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A riprova della parentela c’è il marchio di fabbrica impresso sui manifesti di Nuit Debout, lo stesso pugno chiuso di Otpor, usato in Georgia, Russia, Venezuela ed Egitto, da sostituire al pugno chiuso del movimento operaio. I Serbi appena compreso il gioco in atto tappezzarono Belgrado di manifesti con il pugno di Otpor che stringe un mazzetto di dollari americani. Ma era tardi ormai, Milosevic era sottoposto in manette alla Norimberga iugoslava dell’Aia e la Serbia avviata ad entrare in Ue e Nato e sottratta all’orbita russa. Risultato ottenuto, a scapito degli ingenui studenti serbi che avevano partecipato alle proteste in piazza di Otpor, con la smania dell’Erasmus.
Si dirà che qui non si tratta di una dittatura anti americana da rovesciare ma della occidentalissima Francia, culla della rivoluzione che ha fatto da matrice alle moderne democrazie liberali. Perché mai dovrebbe fare paura la patria di Montesquieu e di Voltaire? Semplicemente perché non è più tale! Fra un anno si vota per le presidenziali che incoroneranno Marine Le Pen Presidente della Repubblica. Il colpo di grazia all’Ue sta per arrivare, la ex patria di Voltaire sta per tornare ad Innalzare Giovanna d’Arco. Bisogna sfilare la piazza al Front National incanalando la protesta verso altre direzioni, più innocue, più alla Podemos, alla Tsipras, alla Jeremy Corbyn, quest’ultimo di recente schieratosi contro la “brexit” a braccetto con Obama, Cameron e i banchieri della City (in Italia invece non corriamo rischi, Di Maio già va a cena con esponenti della Commissione Trilaterale). Questa la ragione della spinta data al movimento dall’intelligence americana e dalle solite fondazioni sorosiane.
Ma c’è anche chi ha ipotizzato un altro obiettivo della stessa matrice, non incompatibile con il primo: Francois Hollande. La pera, come lo chiamano in Francia, da un po’ ha cominciato a inseguire strampalati progetti di egemonia nel Mediterraneo, rovesciamento di Assad con il solo aiuto di Erdogan, operazioni di intelligence in Libia con l’Egitto di Al Sisi a sostegno del governo di Tobruk e del Generale Haftar (contro Tripoli sostenuta da Washington, Londra e Roma), armi fresche fornite ai ribelli islamisti di Al Nusra e all’Arabia Saudita, proprio mentre in Usa si sta desecretando un dossier che illustra il coinvolgimento degli arabi nell’11 settembre con tanto di campagna mediatica anti-Saud. Insomma la Francia vuole approfittare della perdita di egemonia Usa in medio oriente e nord Africa per imporsi come potenza regionale. Lo fa raccattando tutti i rottami abbandonati da Washington sul campo o, peggio ancora, gli ex amici dell’America divenuti ora dei bersagli. Non meraviglia che il Dipartimento di Stato desideri far passare ad Hollande qualche “notte in piedi”…

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AMERICAN HISTORY X (Capitolo Ucraina)

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Domanda: chi sono e da dove vengono i neonazisti che guidano la rivolta ucraina? Anche all’orecchio dell’osservatore più distratto sarà giunta, seppur per brevi cenni, la storia di Stepan Bandera, il leader dell’OUN-B (Organizzazione dei nazionalisti d’Ucraina) che collaborò con Hitler al tempo dell’invasione tedesca in Unione sovietica, salvo poi essere rimosso e deportato dall’alleato germanico dopo la proclamazione di indipendenza dello Stato ucraino, non gradita a Berlino. Dunque, si potrebbe desumere che una cellula dell’antica organizzazione sia sopravvissuta fino ad oggi, mantenendo accesa la fiaccola del nazionalismo più crudo e riapparendo, più di venti anni fa (1991), nelle vesti del partito “Svoboda” che oggi capeggia la rivolta di Piazza Majdan in un oceano di svastiche, teste rasate, croci celtiche, saluti romani e professionismo paramilitare.

La storia, in realtà, è più complicata di così. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, Bandera non si ritirò in buon ordine né visse da clandestino in patria, ma iniziò una nuova vita collaborando con i servizi segreti occidentali. Due su tutti: il britannico MI6 (dal 1948 al 1955) e il tedesco BND, dal 1956 fino alla morte, avvenuta tre anni dopo ad opera di un sicario del KGB. La sua carriera, quindi, si concluse in poco più di un decennio e senza grosse implicazioni, ma rimane significativa per comprendere in che modo i nazisti ucraini tentarono di riciclarsi e rendersi utili alla causa dei vincitori.

Meglio di Bandera, fece Mykola Lebed, capo della polizia segreta dell’ONU-B, che dopo un breve tratto di strada compiuto insieme al suo ex leader, collaborando alle operazioni di sabotaggio MI6 in territorio russo, decise di porsi al servizio del gigante più solido: la CIA. E lo fece creando una organizzazione di facciata, la Prolog Research Corporation, che operò indisturbata fino agli Anni Novanta con tanto di benedizione dello stratega e consigliere di Carter, Zbigniew Brzezinski. Fra i più attivi collaborazionisti con il colosso dello spionaggio americano si segnala anche Theodore Oberlanderg, ex capo del famigerato battaglione “Nachtigal” che giocava al tiro al bersaglio con qualunque “giudeo, russo o russofono” osasse comparire nel suo raggio d’azione. Durante un ciclo di conferenze, il militare s’imbatté in una avvenente ragazza ucraino-americana e ne diventò “padre spirituale”, condizionando profondamente la sua visione politica.

La fanciulla in oggetto, e ci avviciniamo all’oggi, è Kateryna Chumachenko, nata nel 1961 a Chicago da genitori ucraini immigrati negli States grazie alla mediazione della Chiesa Ortodossa. Ma questo non tragga in inganno. Fin da ragazza, la Chumachenko si legò, in barba all’ortodossia genitoriale, alla stravagante Chiesa Nativa della Fede Nazionale Ucraina, una setta dai nebulosi contorni impegnata nella propaganda di idee neonaziste. Il Tempio della congrega era a Chicago, vicino all’organizzazione dei nazionalisti Ucraini “Alleanza Nazionale” e alla locale sede dell’OUN-B di cui, ci racconta Giulietto Chiesa, Katy fu una indomabile attivista. In più, la nostra divenne presidente del “National Captive Nations Committee” e presidente della sezione di Washington dell’ “Ukrainan National comitte of America” (UCCA), un gruppo ispirato dal pensiero e dall’azione di Jaroslav Stetsko, braccio destro di Bandera.

Fin qui nulla di troppo strano. Una pasionaria neonazista, particolarmente infervorata e capace, che urla e sgomita all’interno di organizzazioni banderiane, serenamente incistate nel ventre dell’America democratica e rassicurate dallo sguardo sovrano e interessato della CIA. Ciò che appare incredibile è invece tutto l’altro segmento del curriculum della Chumachenko, impiegata dal 1986 al 1988 presso l’Ufficio del Dipartimento di Stato Americano nella Sezione Diritti Umani – lo stesso Dipartimento della Nuland, quella che ha dato 5 miliardi ai rivoltosi di Kiev -, alla Casa Bianca durante l’amministrazione Reagan (1988), al Tesoro sotto la governance di Bush senior (1989) e infine cofondatrice dell’Ucraina-Usa Foundation nel 1992. In una manciata di anni, ha frequentato tutti i pezzi grossi, da Clinton al Segretario della Nato Javier Solana.

Con Bush jr

Con Bush jr

Con Clinton

Con Clinton

Con Solana

Con Solana

Non c’è che dire, una carriera straordinaria per una nazistella di periferia, figlia di immigrati e adepta di una setta. E non è tutto. Perché poco dopo Kateryna diventerà la seconda moglie del presidente ucraino e banchiere di origine ebraica Viktor Yushenko, il predecessore di Yanukovich, eletto subito dopo la “rivoluzione arancione” del 2004 e copiosamente finanziato da Soros e dalle Ong di mezzo mondo. Ci sono due versioni diverse circa l’incontro che Cupido propiziò fra i due: alcuni sostengono che avvenne casualmente in aereo, altri ricordano che la Chumachenko fu spedita a lavorare come consulente bancaria, per un breve periodo, in uno degli istituti dove operava Yushenko, il KPMG Peat Marwick/ Gruppo Barents. In ogni caso, gli americani gliel’hanno messa nel letto e lei ha svolto egregiamente il suo compito condizionando le politiche del marito e convincendolo, ad esempio, a proclamare nel 2010 Bandera eroe nazionale.

Dunque, ricapitoliamo. Finita la guerra, gli americani misero a libro paga i nazisti ucraini in funzione antisovietica e accettarono di ospitare sedi e strutture affinché la loro ideologia sopravvivesse nei decenni a venire, ben consapevoli che quella riserva di fanatico odio anti-russo sarebbe venuta utile prima o poi. Così, decisi a strappare l’Ucraina all’area di influenza Russa, hanno pensato bene di giocare su due tavoli: da un lato agitando le bandiere di libertà e democrazia (la rivoluzione colorata) e dall’altro riattizzando il nazionalismo ucraino (la risalita di Svoboda et similia). L’ex première dame Kateryna Chumachenko è stata l’incarnazione perfetta della sintesi fra queste due anime apparentemente antitetiche, eppure capaci di conciliarsi, strumentalmente, in una sola persona. Nazista ma sposata con un banchiere ebreo, nazionalista ma al servizio del potere atlantico, devota seguace di macellai ma zelante impiegata presso la Sezione Diritti Umani del Dipartimento di Stato americano, Lady Katy è la figura simbolo della geostrategia sovversiva americana. Non è una goccia nell’oceano del caos, guai a pensarlo. Lei è il metodo. Il metodo strabico della sovversione impazzita.