BUTTAFUOCO in conferenza a Bari: “Non finirà così!”

buttafuoco3Divampano fra le nebbie di un conformismo “idiota, beota e tirannico” e incendiano un cammino del pensiero che unisce la Sicilia alla Madre Russia. Sono, evocati da un volontario gioco di parole, i Fuochi (Vallecchi, pp. 234, euro 14,50) di Pietrangelo Buttafuoco, giornalista, romanziere e saggista che – nella sua ultima raccolta di scritti – affronta, senza concessioni al dettato ufficiale, l’analisi a tutto campo di “Tipi, spazi e tempi moderni”.

È questo il sottotitolo dell’incontro, promosso dalla Fondazione “Giuseppe Tatarella”, che ha visto l’altra sera, negli spazi della Sala Consiliare del Comune di Bari, lo scrittore catanese dialogare con il docente Giuseppe Incardona ed il giornalista Michele De Feudis. “In un’epoca in cui la terra è rimpicciolita dalla velocità – osserva quest’ultimo – Buttafuoco guarda all’Oriente, all’Eurasia ed afferma il ruolo del mare nostrum quale bacino d’armonia e ci riconnette alla riflessione sui tempi lunghi”. E poiché il fuoco, come chiarisce Incardona, “è creatore ma anche distruttore”, in pochi escono indenni dall’incendio polemico del cuntastorie siciliano.

L’Italia è divenuta un luogo ridicolo – riflette Buttafuoco – dove nessuno possiede la fantasia necessaria per immaginare la grandezza. Lo sguardo è tragicamente corto. E continua a mietere vittime la più pericolosa fra le armi di distruzione di massa: la menzogna”. La lama affonda subito nel cuore del Risorgimento italiano: “Nessuno – riprende – potrebbe figurarsi la conquista di Parigi da parte di un’altra città della Francia. Eppure, è quanto ha fatto Torino con Napoli, stuprandola e trasformando la sua magnificenza in una farsa carnevalesca”. Dal passato al presente il passo è breve: “Il disprezzo è lo stesso mostrato dai marines in Iraq: dopo aver demolito, hanno preteso di ricostruire la dignità di quel popolo impiantando dei bancomat. È, infondo, la leggerezza del war game che spinge a cancellare dalla faccia della terra chiunque si ritenga diverso”.

Buttafuoco ne ha per tutti: per i veleni storici che la politica italiana alimenta, per la gestione del caso marò (“consegnarsi all’ambasciata indiana sarebbe, a questo punto, un gesto d’onore”), per quell’eterno vizio italiota di gettare tutto in “perenne commedia”. Ma è il tema dell’impoverimento culturale a prendersi la scena con particolare riferimento, ancora una volta, al Meridione: “Potreste immaginare – si chiede – la Germania senza Goethe o la Francia senza Balzac? Non credo. Invece il Sud senza Pirandello lo si riesce a immaginare benissimo”. Nonostante tutto, però, è troppo presto per gettare la spugna: “Abbiamo bisogno di fuochi – conclude – e, in primis, di quel fuoco che brucia dentro. Per questo ho voluto dedicare il libro ai miei figli. Non può finire così”.

* Pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno”

É SOLO L’INIZIO

elezioni_italiaC’è una immagine della campagna elettorale che vale la pena evocare per prima: è quella di Bersani che apre al banchiere Monti dalla Germania fra gli applausi della Merkel. La sconfitta “reale” della sinistra è tutta qui. Le alte con-cause contano poco. Dalle parti del Pd non si riesce a comprendere una verità lapalissiana e cioè che la doppiezza non paga mai, nemmeno quando si ha a che fare con un popolo mandriano e ignorante (ma non stupido) come quello italiano: non ci si può presentare come il partito dell’ “Italia Bene Comune” e poi occhieggiare a banchieri, burocrati e lobbisti di ogni tipo. Non ci si può qualificare come l’armata dall’intatta morale e poi lucrare sul Monte Paschi o andare a pranzo con i giudici che, tempo dopo, ti assolveranno. Non funziona così.

Le privatizzazioni selvagge, la guerra in Jugoslavia, l’ingresso nell’Euro, la parificazione di scuola pubblica e privata, l’introduzione del precariato con il Pacchetto Treu, il sostegno ai conflitti americani, la promozione in ruoli chiave dei Goldman Sachs Prodi e Padoa Schioppa, l’appoggio incondizionato a Monti e la programmazione di future alleanze col bocconiano. Questo è quanto ha fatto la sinistra negli ultimi vent’anni e ciò sarebbe perfino legittimo, seppur mostruoso, se i democratici non avessero contemporaneamente tentato di abbracciare anche l’artigiano emiliano, il disoccupato calabrese, l’operaio piemontese. Per baciarli teneramente, come Giuda. Bersani correva in solitaria, davanti a tutti, ma con l’endorsement di Goldman Sachs (in un report di settembre) e le interviste al “Financial Times”. E la gente ha capito che con lui (e Monti) saremmo morti di austerità per salvare Euro e creditori. Non casualmente la scoppola più forte l’ha presa Nichi Vendola che, teoricamente, avrebbe praterie a disposizione per canalizzare la disperazione collettiva in una rivolta di popolo. Ma la sua sinistra “americana”, tutta diritti&ambiente, ha lo stesso vizio della sorella maggiore: si dice “europeista” e non sfida il potere. Al contrario, lo rassicura, rendendo così manifesta la propria inutilità. Infatti l’elettorato si è ammutinato e ha votato il comico.

Alla fine, diciamola tutta: dal crollo del Muro la gauche italica è sempre stata la testa di ponte di qualunque potentato straniero abbia desiderato passeggiare sulla nostra pelle. Affermava Spengler: “La sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo”. E non c’è verità più grande. Ora si parla di un ribaltone ai vertici e di un ritorno trionfale di Matteo Renzi che guiderà gli eserciti rossi sotto le insegne candide del rinnovamento. Ovviamente, si sono tutti già dimenticati che il sindaco di Firenze è quello che si accompagnava ai finanzieri anglo-italiani con i conti alle Cayman: un altro servo del capitale, come sopra. Cambiare tutto per non cambiare nulla. E perdere di nuovo o essere cacciati a pedate dopo due anni di austerità bancaria.

Nessuna meraviglia, quindi, se la gente si è turata il naso e ha ri-votato Berlusconi. Il PDL non esiste più, completamente bruciato da un triennio di assoluto sbandamento. Rimangono in piedi la verve mediatica del capo, le sue mirabolanti promesse (ipocrite ma sensate) e i ras di quartiere capaci ancora di rastrellare voti, soprattutto nel Mezzogiorno. Un po’ poco per sfiorare la vittoria, si dirà. Ma quando il Cavaliere va in Europa i burocrati lo insultano e, se vince, i mercati disapprovano. Per gli elettori inferociti – quelli cioè che uscirebbero dall’Euro e impiccherebbero i banchieri, ormai maggioritari in Italia – non esiste garanzia migliore. Berlusconi si è fatto forte dei fischi, al contrario di Bersani, ucciso dagli applausi finanziari che hanno svelato l’oscena connivenza con l’europotere.

E Grillo? Il vero vincitore della tornata andrebbe ringraziato per un sostanziale motivo. Ha sfondato il muro bipolare, polverizzandolo. Ora gli italiani sanno che c’è e ci sarà spazio per altro e non sono condannati a vita a dover scegliere fra la sinistra bancaria e la destra berlusconiana. Si è aperto un varco e bisognerà attendere che da lì passi qualcosa di serio perché i 5 Stelle, al di là della egregia funzione arietina, non possono garantire nulla. Sono un partito inesistente sul territorio, innamorato della virtualità, pieno zeppo di laureati in informatica (garanzia assoluta di idiozia), liquido proprio come il mondo che vorrebbero cambiare. Non è dato sapere se sapranno resistere alle sirene mediatiche, economiche, politiche che giungeranno da ogni parte, ma non è questo il punto: sono comunque, presto o tardi, destinati a dissolversi perché la loro funzione è semplicemente quella di far saltare un vecchio schema.

Dunque, fatto il loro, è bene che si tolgano dai piedi perché qui non c’è più tempo. La sfida, ora, si consuma fra mondialisti e sovranisti. E il voto italiano, con i successi di Grillo e Berlusconi, è lì a dimostrarlo con la postilla che i due trionfatori sono solo la pallida, contraddittoria, grottesca e ilare ombra di ciò che dovrà essere: una élite che ci porti fuori dal controllo dell’Europa, della Nato, dei mercati, delle lobbies transnazionali, del capitalismo finanziario decaduto. E restituisca l’Italia a se stessa.

Ps. Un paio di lettori mi hanno rimproverato di non aver scritto nulla sul flop di Scelta Civica, la lista di Monti. Avendo ampiamente ragionato sul fallimento dell’imitatore (Bersani) mi sembrava inutile perder tempo con l’originale (Monti). In realtà era tutto già scritto. Dopo qualche mese da sacerdote dell’economia, salvatore della Patria e punitore degli evasori di Cortina, il bocconiano Euro-Trilateral-Bilderberg ha gettato via la maschera, pardòn il loden, ed anche i più sprovveduti hanno potuto vederlo in faccia. “E’ il premier più amato dai…tedeschi!” ha ironizzato (perfino) la comica Geppi Cucciari che un anno prima non si sarebbe mai permessa di dileggiare l’uomo della Provvidenza. Il povero Casini si è dovuto precipitare varie volte in televisione per rassicurare gli italiani: “Desideriamo agire nell’interesse nazionale!”. Ma a tutti era ormai chiaro il contrario. La cura Monti si è concretata, semplicemente, in una massiccia aggressione, via tasse, alle uniche risorse degli italiani: il risparmio e i beni immobili. Una spremitura di sangue per ripagare i creditori e salvare l’Euro germanico a prezzo di una desertificazione totale dell’economia reale e del benessere collettivo. Il voto l’ha stroncato, come ovvio, trascinando nel fango i suoi patetici sodali: Casini e, soprattutto, Fini che dopo aver distrutto qualunque cosa toccasse (al contrario di re Mida) ha finito – in mancanza d’altro – per disintegrare anche se stesso. Finalmente. 

LA RESA

Papa-Benedetto-XVI-e1360627864352Diciamolo chiaramente. Il Pontificato di Benedetto XVI era già finito da anni, stroncato da una graduale quanto evidentissima resa a quelle forze avverse che, inizialmente, l’erede di Pietro si era affaticato a combattere. La sua stanchezza, quell’essere privo di “energie sufficienti per continuare la missione”, è da attribuirsi innanzitutto a questo: al logoramento di un Papa costantemente “sotto attacco” e mai sostenuto dalla masse sciocche della modernità liquida, ancora innamorate della Chiesa progressista e istrionica di Wojtyla. Un passaggio tragico, l’ennesimo consumatosi in un comunità religiosa allo sbando più totale, di cui non sarà inutile ripercorrere le tappe.

Il Ratzinger degli inizi aveva imbroccato un sentiero definito, metastorico, concepito per regalare a quel che resta della Chiesa un ruolo attivo e coerente nell’arena globale. Sono da leggersi in questa chiave le splendide encicliche contro i pericoli del delirio finanziario, il ripristino della messa in latino, la crociata contro il relativismo e il darwinismo, l’apertura al mondo ortodosso (la parte “politicamente” più sana della cristianità) in vista di una futura riunificazione e, nonostante qualche scivolone imprudente, la mano tesa al mondo islamico, arcinemico d’Occidente. Fra tutte le missioni diplomatiche, risalta il ricordo dello storico viaggio nella Turchia del primo ministro Tayyip Erdogan quando quest’ultimo esibiva ancora una certa lucidità e declinava la propria vena ottomana senza genuflessioni atlantiche.

Insomma, Benedetto XVI sembrava aver chiara l’idea che per il Cristianesimo fosse giunta l’ora di superare il complesso di dipendenza dal mondo moderno, quella tentazione irresistibile di benedirlo, approvarlo, coccolarlo e inseguirlo in tutte le sue derive. Vivere i tempi doveva significare, nel pensiero del Pontefice, combatterne i nemici materiali e offrire una sponda altra, diversa dalla morale comune. Non sopravvivere, ma combattere. In un meraviglioso paradosso, il teologo reazionario si adoperava per scavalcare nei fatti il pensiero post-marxista e i suoi sodali: la sinistra parlamentare che incassa lodi dalla Goldman Sachs e dall’establishment americano, l’intellettuale salottiero che vuole “più Europa” e il giovane alternativo con la foto di Steve Jobs sul comodino.

Naturalmente, più gli intenti si facevano chiari più la morsa dei poteri avversi – che sempre si auto-difendono con destrezza – si stringeva. Il primo asso calato sul tavolo è stata la presunta adesione, in qualche forma, del giovane Ratzinger al nazismo. Un avvertimento, perché il peggio doveva ancora venire: dagli Stati Uniti (non casualmente) giunge nel 2008 lo tsunami dei preti pedofili ed è una mazzata senza ritorno. Le fucilate successive, dalle inchieste sullo Ior al caso Vatileaks, combinate a strani sommovimenti interni al potere ecclesiastico, completano il quadro. Benedetto XVI è costretto ad arretrare e il suo papato involve tragicamente. Scompare la dimensione anticapitalista ed, anzi, con i capitalisti si inizia ad andare a nozze: il Papa incontra Monti, gli sorride, gli telefona, mentre la base rumoreggia inutilmente per l’endorsement al “professore massone”. Si cerca di recuperare puntando tutto sull’attacco frontale alle unioni omosessuali ma anche questa non è una terra di nessuno. A presidiarla c’è l’intellighenzia borghese e laicista con tutta la sua potenza di fuoco. Piovono fischi e manca la forza per reggerli.

É la fine: come ultimo atto Benedetto XVI si umilia armeggiando penosamente su Twitter, simbolica quanto definitiva resa ai tempi tristi che osò combattere, e stacca la spina ad un pontificato titanico ormai ridotto a larva, lasciando che il nero sipario cali sullo sguardo gentile del gigante sconfitto.

*Pubblicato su barbadillo.it